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La città vista da Silvano, da oltre trent’anni "sentinella" del Politeama

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Silvano, oggi, comincia a lavorare alle otto e mezza di sera e finisce all’una di notte: nel gabbiotto del Politeama, saluta chi passa (con un grandissimo sorriso e un fortissimo “Salve”) e si occupa del parcheggio. «Ho conosciuto moltissime persone. Mi riconoscono, mi salutano per strada. A parte i turni notturni, questo lavoro mi piace», racconta Silvano, che è una vera e propria icona del centro storico. Da oltre trent’anni si trova lì sotto, nella galleria del cinema dei Leonardi, dove non arriva nemmeno la luce del sole. Ne ha viste tante, ma chi lo conosce sa che in tutto questo tempo Silvano è rimasto sempre uguale, incredibilmente immutato e immancabilmente al suo posto: a scambiare due chiacchierare con i piacentini e a vidimare il biglietto del posteggio sotterraneo. Nel gabbiotto del Politeama, quando non ci sono i clienti, Silvano naviga su internet, telefona alla moglie o legge le riviste d’attualità, che custodisce impilate sotto la scrivania. Comincia a diluviare, si capisce dal suono delle gocce d’acqua che sbattono sulla tettoia; una faccia poco raccomandabile passa a piedi, con il cappuccio sulla testa: «Non ho mai avuto paura, in trent’anni non mi è mai capitato nulla, a parte un ubriaco un po’ molesto…».

Silvano non si occupa solo del parcheggio: «Mi dedico anche alla manutenzione del cinema, lavoro al bar, altre volte faccio la maschera nelle sale di proiezione. Mi è capitato di accogliere gli ospiti del teatro Politeama, accompagnandoli nei camerini». Silvano ha conosciuto un’incredibile rosa di nomi che hanno fatto la storia dello spettacolo italiano, passando pure per Piacenza: «Ho visto Renato Zero, i Pooh, Gianni Morandi, Fiorella Mannoia, Luciano Ligabue, uno dei cantanti preferiti di mia figlia. Poi Marco Masini, Gino Paoli, Paolo Conte». Non di tutti ha un buon ricordo, infatti «qualcuno aveva la puzza sotto il naso, scappava subito dopo l’esibizione, oppure era inavvicinabile, circondato dalle guardie del corpo o dall’impresario», ma altri non hanno negato due parole a Silvano: «Massimo Ranieri si fermava a chiacchierare con me. Una volta, invece, dissi al comico Giacobazzi: “Devi essere contento, il teatro è pieno”. Lui mi rispose: “Voi piacentini dovete essere matti per venirmi a vedere”», ricorda Silvano con una grossa risata. Descrive alla perfezione molti degli spettacoli messi in scena al Politeama, probabilmente gli sono stati descritti dagli spettatori all’uscita, perché ammette che non riesce «mai ad entrare in sala, nei momenti liberi vado a sbirciare per vedere due o tre secondi».

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«Mi rattrista vedere la morte lenta e dolorosa dei cinema in centro. Trent’anni fa, c’erano addirittura otto sale. Alla domenica sera le persone si recavano a vedere un film, era l’intrattenimento principale, insieme alle sale da ballo. Il vero cinema è quello trasmesso sui grandi schermi del centro, come una volta. Adesso, purtroppo, nei multisala vi sono locali piccoli e mal costruiti, che l’hanno snaturato». È un grande rammarico per Silvano, ne parla davvero con dispiacere. «La gente prima voleva ridere e divertirsi, c’erano più film comici. Oggi, chi va al cinema è più informato, grazie a internet e ai giornali, così cerca qualcosa di specifico». Il suo discorso è interrotto dallo squillo del telefono: alcuni piacentini telefonano per sapere quando potranno ritirare i biglietti del concerto in programma tra pochi giorni. Silvano è un tuttofare.

All’improvviso si volta, ruotando il busto con la poltrona a rotelle. Si china per terra e solleva una torcia enorme, potentissima. Esce dal gabbiotto e la punta contro una parete della galleria: «Guarda, guarda cos’hanno fatto i vandali!». C’è un graffito enorme, che Silvano disapprova. «In trent’anni, ho visto la città in declino. Ai giorni nostri, secondo me, c’è degrado, sporcizia e disordine. Il traffico è aumentato, abbiamo una cappa di smog sopra la testa. I giovani bevono e si drogano troppo. Non c’è più il senso reale della famiglia, che dovrebbe essere alla base della nostra società. Anche la politica, negli anni, non è cambiata. Ognuno tira l’acqua al proprio mulino».

Thomas Trenchi

Classe 1998, giornalista professionista dell'emittente televisiva Telelibertà e del sito web Liberta.it. Collaboratore del quotidiano Libertà. Podcaster per Liberta.it con la rubrica di viaggi “Un passo nel mondo” e quella d’attualità “Giù la mascherina” insieme al collega Marcello Pollastri, fruibili anche sulle piattaforme Spreaker e Spotify; altri podcast: “Pandemia - Due anni di Covid” e un focus sull’omicidio di via Degani nella rubrica “Ombre”. In passato, ideatore di Sportello Quotidiano, blog d'approfondimento sull’attualità piacentina. Ha realizzato anche alcuni servizi per il settimanale d'informazione Corriere Padano. Co-fondatore di Gioia Web Radio, la prima emittente liceale a Piacenza. Creatore del documentario amatoriale "Avevamo Paura - Memorie di guerra di Bruna Bongiorni” e co-creatore di "Eravamo come morti - Testimonianza di Enrico Malacalza, internato nel lager di Stutthof". Co-autore di “#Torre Sindaco - Storia dell’uomo che promise un vulcano a Piacenza” (Papero Editore, 2017) e autore di "La Pellegrina - Storie dalla casa accoglienza Don Venturini" (Papero Editore, 2018). Nel maggio del 2022, insieme ai colleghi Marcello Pollastri e Andrea Pasquali, ha curato il libro-reportage "Ucraina, la catena che ci unisce", dopo alcuni giorni trascorsi nelle zone di guerra ed emergenza umanitaria. Il volume è stato pubblicato da Editoriale Libertà con il quotidiano in edicola. Ecco alcuni speciali tv curati per Telelibertà: "I piacentini di Londra" per raccontare il fenomeno dell'emigrazione dei piacentini in Inghilterra nel secondo dopoguerra, con immagini, testi e interviste in occasione della festa della comunità piacentina nella capitale britannica dal 17 al 19 maggio 2019; “I presepi piacentini nel Natale del Covid”; “La vita oltre il Covid” con interviste a due piacentini guariti dall’infezione da Coronavirus dopo dure ed estenuanti settimane di ricovero in ospedale; il reportage “La scuola finlandese” negli istituti di Kauttua ed Eura in Finlandia.