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Meno compiti e più tempo libero, la scuola tedesca raccontata da una mamma
I compiti a casa sono quel tipo di dogma tutto all’italiana: come spesso accade, si accettano, si subiscono, i bambini piangono e le madri urlano, volano schiaffi, grida e castighi. Diversi pedagogisti li ritengono il simbolo di un sistema scolastico che non funziona, lontano dalla realtà quotidiana, basato sul puro nozionismo fine a se stesso.
«Ieri si festeggiava il mio anniversario di matrimonio. Ristorante romantico, candele, nucleo familiare riunito, un momento finalmente intimo e tranquillo… e invece no! Tra una portata e l’altra, mio figlio ha finito i compiti di inglese, dopo aver studiato tutto il pomeriggio. Con il coinvolgimento dei vicini di tavolo britannici che ci hanno aiutato, guardandoci come marziani», scrive una mamma disperata sulla community di Facebook “Basta Compiti”, di cui fanno parte più di ottomila membri.
Come lei, tanti altri genitori vivono lo stesso travaglio. Non nel Baden-Württemberg, uno dei sedici stati federati della Germania, dove abita Rachele, che ha due figli iscritti ad una scuola elementare tedesca e due nipoti in Italia, con i quali il confronto è immediato: «Qui i compiti li danno, ma con una modalità che trovo fantastica: durante i primi due anni di scuola elementare, sono vietati i compiti nel fine settimana, nelle vacanze e quando fa troppo caldo. Se vengono dati esercizi, occorrono circa dieci minuti per farli. Servono per fissare nella mente del bambino quanto è stato fatto in classe, non per tenerlo incollato alla sedia. Per le maestre, che sono comprensive e gentili, “giocare all’aria aperta” è più importante».
Nel corso dei quattro anni di scuola primaria, il carico aumenta lentamente, prestando attenzione alla sensibilità dei piccoli: «In terza e quarta, i compiti richiedono un impegno di un’ora, con il tacito accordo che, se un bambino piange o è troppo stanco, bastano due righe dei genitori ed è autorizzato a non finirli. Un bambino stanco non rende, quindi non ha senso farlo studiare a lungo».
La scuola, lì, è considerata un passo importante, da compiere quando si è realmente pronti, senza ansie da prestazione: «Nell’ultimo anno di asilo – spiega Rachele – alcuni medici statali valutano le capacità cognitive, logiche e fisiche del bambino. Se viene ritenuto immaturo, si consiglia ai genitori di rimandare di un anno l’ingresso a scuola. In Italia, un suggerimento del genere sarebbe considerato una vergogna, qui invece è ascoltato dalle famiglie. In questo modo vengono rispettati i tempi del bambino, evitando un ingresso traumatico sui banchi, che lo porterebbe a perdere fiducia in sé».
Le pause sono un’altra sostanziale differenza con il bel paese: «Ogni quarantacinque minuti di lezione, vi sono cinque minuti di pausa. Dopo novanta minuti, si fa un intervallo in cui gli alunni devono uscire in cortile a giocare. È risaputo che l’attenzione di un bambino non può essere mantenuta per più di quel tempo, pertanto hanno bisogno di distrarsi per garantire il massimo rendimento. Anche le vacanze funzionano nel modo opposto: ogni quaranta giorni, la scuola chiude per una o due settimane. In estate, ovviamente, la pausa è più corta, dura un mese e mezzo. Questo consente ai docenti di non dare compiti estivi, visto che in sei settimane non rischiano di dimenticarsi il programma».
A pochi chilometri di distanza, esiste dunque un mondo educativo dove i bimbi hanno tempo di essere bimbi e le mamme non diventano maestre sclerotiche del dopo-scuola. Dalla navicella spaziale, quella posteggiata fuori dal ristorante in cui i “piccoli marziani” riempiono schede grammaticali invece di mangiare una bistecca, dovrebbe intravedersi.
Thomas Trenchi