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«Ero più felice da assessore». Intervista al sindaco Paolo Dosi
«Ero più felice di fare l’assessore nelle scorse legislature». Paolo Dosi, dal 2012 primo cittadino di Piacenza, si lascia andare alla stanchezza: «La carica di sindaco è stata molto faticosa, ma non mi pento assolutamente. È stata un’esperienza di vita notevole, tuttavia bisogna essere capaci di fermarsi e riconoscere i propri limiti». L’impressione è che, una volta sciolti i nodi interni al Partito Democratico locale, Dosi non intenda ricandidarsi, anche se l’annuncio definitivo arriverà nei prossimi giorni*: «Secondo me, i piacentini sono divisi a metà nel giudicare il mio mandato. L’ex sindaco Reggi ha lasciato alla città dei segnali tangibili di cambiamento; io lascerò tracce meno percepibili, a causa delle numerose difficoltà emerse, per esempio la perdita di 40/50 milioni di operatività a bilancio, che hanno inciso profondamente sulle scelte della Giunta. A causa di tali complicanze, non è ancora detto che mi ricandidi. Fare il sindaco significa essere in prima linea su qualsiasi problema, quotidianamente. Deciderò a breve, però cinque anni bastano, sono sufficienti». Onore e onere, come si dice di solito. Per Dosi, il cui incarico scadrà nella primavera del 2017, si è trattato soprattutto del secondo caso: «Non si amministra per ottenere consensi: gli enti locali sono fortemente penalizzati, bisogna mettere in equilibrio le varie anime della città, cercando di creare i minori danni possibili, a costo di compiere scelte impopolari. Lo dico anche per il futuro sindaco». Un ruolo, quindi, fortemente sensibile, al quale, stando alle ultime indiscrezioni, potrebbe ambire il dottor Cavanna, primario del reparto di Oncologia dell’ospedale di Piacenza, presentandosi ipoteticamente per la coalizione di centrodestra. Dosi lo avverte: «Se dovessi parlargli a cuore aperto, e se lui avesse davvero l’intenzione di candidarsi, gli consiglierei di non farlo. La sua straordinaria attività professionale credo non si concili con la carica di sindaco, la quale oggi non è di prestigio, bensì di lavoro penalizzante, in quanto non potrà mai mettere d’accordo tutte le attese inesorabilmente contraddittorie tra loro». Insomma, dalle sue parole pare essere stato un fardello pesante da sopportare, di cui comunque, oltre a non rammaricarsi, conosce da tempo la natura: «Da giovane ero appassionato di politica. Entrai al liceo scientifico nel 1968, l’anno dei grandi stravolgimenti, che ricordo volentieri. Un paio di volte partecipai alle proteste, seguivo le vicende da vicino. Nel mio percorso è stato fondamentale l’insegnante di religione, che mi sollecitò a riflettere e a tenere conto delle ragioni degli altri, anche di chi la pensava diversamente da me».
La sua amministrazione, invece, è riuscita a coinvolgere i giovani?
«In seguito alle attività organizzate attorno a Spazio 2, e non solo, abbiamo ottenuto risposte significative, in linea con le aspettative. La fascia delle scuole superiori e dell’università è un fronte mutevole, in grave difficoltà occupazionale: facciamo oggettivamente fatica ad intervenire sul mondo del lavoro giovanile, il nostro tentativo è stato quello di essere portatori di proposte innovative e nuove a livello professionale. Abbiamo fornito alcune occasioni, suggerito i bandi e collaborato con le associazioni di categoria e con il mondo della formazione, ma non è possibile soddisfare tutta la popolazione giovanile. Il potere del Comune, in questo ambito, è limitato».
In primavera gli studenti hanno protestato contro lo spostamento della stazione dei pullman alla Lupa. Col senno di poi, si conferma una scelta azzeccata?
«Lo spostamento del capolinea dovrebbe essere un passaggio intermedio. Il piano originario, appunto, prevede il trasferimento del trasporto pubblico da Piazza Cittadella, che verrà riqualificata e destinata al transito pedonale, fino alla zona di Borgo Faxhall, attendendo il completamento del solettone. È un disegno complicato, i cui tempi sono e saranno profondamente dilatati per motivi urbanistici e burocratici. Noi abbiamo aperto un varco, che nella lettura complessiva dà l’idea di una città con grandi potenzialità, che può mutare notevolmente. Speriamo in meglio».
A metà dicembre sono stati registrati diversi sforamenti della quantità di smog nell’atmosfera. Che misure sono già state prese, in passato, per tutelare la qualità dell’aria?
«Nonostante sia poco percepibile, l’incidenza di inquinamento sul nostro territorio è diminuita, pur trovandosi nello sfavorevole contesto della pianura Padana. Le modifiche viabilistiche – tenendo conto delle caratteristiche del centro storico, formato da vie piccole e intasate – hanno minimamente contribuito. Serve incentivare un ricambio del parco mezzi che diventi sostenibile, non a caso le restrizioni al traffico fissate per la prossima domenica non riguardano i mezzi Euro 4 in su».
È sufficiente una domenica chiusa al traffico per risolvere un problema di tale portata?
«No, non basta. È un segnale che vorrebbe avere anzitutto una funzione educativa».
La convince la proposta di Legambiente di garantire gli autobus gratuiti finché non diminuiscono le polveri sottili nell’aria?
«Si potrebbe fare, ma, in questo complesso periodo di bilancio, la quota che verrebbe meno sul versante del trasporto pubblico andrebbe recuperata in altro modo, compromettendo i servizi sociali, che fino ad oggi abbiamo cercato di salvaguardare. Chi amministra non si concentra mai su un solo pezzo di città, ma su tutti i problemi della comunità messi insieme. Per ogni intervento ci si interroga sulle ipotizzabili ricadute sugli altri versanti».
Nel 2012, in campagna elettorale, proponeva un polmone verde di 154.000 metri quadrati in più, unendo il Parco Montecucco e il Parco della Galleana. Perché si è arenato questo progetto?
«Sarebbe stato piuttosto rilevante. In compenso, il Parco della Galleana, prossimamente, dovrebbe essere allargato, attraverso l’acquisizione di un’area limitrofa, originariamente destinata ad un’operazione urbanistica spostata altrove. Si andrà ad ampliare lo spazio verde utilizzabile. L’idea iniziale del 2012 è mutata, a dimostrazione del fatto che non serve fare un programma con eccessivi punti, sapendo che manca la certezza di poterli realizzare».
La classifica del “Sole 24 Ore” rileva un arretramento di undici posizioni di Piacenza per qualità della vita. Come interpreta questi dati?
«Non do peso alle classifiche, indipendentemente che siano positive o negative, poiché tengono conto di parametri poco chiari, che possono essere letti in modo discordante. Ci lascia perplessi che siamo al novantunesimo posto per sicurezza: probabilmente fa riferimento al numero di reati denunciati, che può essere un segnale per cui i crimini vengono segnalati, differentemente da altri grandi capoluoghi dove ciò non avviene».
Nei quartieri crescono i gruppi di controllo di vicinato. È un fenomeno che amplifica la sensazione di insicurezza o contribuisce alla reale sicurezza?
«I gruppi, circa una quindicina a Piacenza, collaborano positivamente alla sicurezza, aiutano le famiglie e i cittadini ad essere più attenti ai movimenti che accadono nel territorio, favorendo una maggiore attenzione. Non possiamo chiedere loro di sostituirsi alle Forze dell’Ordine, bensì di affiancarle e di aiutarle, segnalando e non intervenendo. Due o tre anni fa la sensazione di insicurezza era più manifestata: grazie a questi gruppi, con i quali l’Amministrazione tiene un canale di comunicazione sempre aperto, la situazione è sotto controllo. Inoltre, da quando abbiamo i nuovi comandi di Polizia e Carabinieri, la situazione è monitorata costantemente, risultando favorevole rispetto ad altre città di analoghe dimensioni. Il Questore ha preso di petto la circostanza, mobilitando tutte le sue risorse, in particolare nella zona della stazione, che non è comunque così problematica rispetto ad altri punti di Piacenza».
Che risultati sta ottenendo la pattuglia della Municipale in via Roma?
«Prevenzione e attenzione. Lì vi è la specificità dello straniero isolato, senza famiglia, non inserito, privo di riferimenti, pertanto fragile e propenso a piccoli atti di delinquenza ed inciviltà. L’ubriacatura, che di per sé non è un allarme sociale ma un malessere personale, è frequente nelle persone sole, che tentato percorsi di socializzazione impropria, certamente generando disagio».
Ha avuto difficoltà ad attuare l’ordinanza che limiterebbe il consumo di alcol in quelle vie?
«Sì, mi sono trovato in difficoltà a metterla in pratica, o meglio: parzialmente vengono applicate in virtù di un accordo con le Forze dell’Ordine che garantisce la presenza dei pattugliamenti nel quartiere, anche sul tema ubriacatura c’è stato un aumento delle pene che vengono comminate. Al di là degli atti repressivi, occorrono attività di promozione. Vi sono troppi negozi sfitti: abbiamo cercato di mettere a disposizione alcuni punti vendita a prezzi contenuti, se non addirittura gratuitamente, e la risposta è stata buona. Non solo: Urban Hub, che è un esempio apparentemente fuori contesto, chiama all’appello molti giovani con capacità innovative e progettuali. Siamo riusciti ad intercettare i locali soggetti a restrizioni di utilizzo nella parte bassa del Grattacielo dei Mille, che continua ad avere problemi legali all’apertura e alla fruizione, ed abbiamo inserito dei servizi pubblici e un negozio di alto artigianato di violini. È un quadro apparentemente confuso, comune alle realtà in via di sviluppo. Non bisogna avere una visione ideologica nei confronti di questi luoghi, ma ascoltare e analizzare la continua trasformazione, contenendo i disagi e liberando le energie positive».
Il comandante della Polizia Municipale Poma ha annunciato le sue dimissioni, diventando il quinto comandante che cambia in sette anni. È una discontinuità dannosa?
«Ovviamente avremmo preferito una continuità maggiore. È comprensibile che si debba ricorrere a comandanti provenienti da via, infatti certi incarichi di responsabilità sono meglio interpretati da persone non collegate al territorio, così da tutelare eventuali commistioni di interessi, ma ciò comporta che, quando si proviene da lontano, poi si preferisca far ritorno nei pressi di casa. Il bando di concorso per il nuovo Comandante è gia stato pubblicato e la prospettiva è quella del rientro definitivo entro febbraio, con una disponibilità di alternanza dell’attuale comandante Poma tra Piacenza e Reggio Emilia, a seconda delle necessità, per i primi due mesi dell’anno».
Quale ritiene sia stato il principale successo e il più grande errore della Giunta nel 2016?
«Parlando dei successi, ci siamo aggiudicati il bando di 11 milioni di euro per il recupero delle periferie. Viceversa, la problematicità maggiore è relativa alla gestione dei profughi. Siamo una delle province, compresa Prato, con la più alta percentuale di popolazione straniera, senza che ciò abbia mai creato problemi eclatanti. Invece, dover collocare e soprattutto impegnare 350 rifugiati è diverso. Il programma con Asp ci ha condotto progressivamente ad avere 140 profughi impegnati a livello civile, mentre gli altri si trovano in strutture nelle quali non possiamo intervenire direttamente per offrire un’occupazione. Temo che ciò, alla lunga, comporti dei problemi che possono ritorcersi sulla comunità».
Thomas Trenchi