cultura
Orizzonti digitali, intervista a Montemagno: il futuro è online
Prima ancora che venisse pubblicato, “Codice Montemagno” era già al primo posto dei libri più ricercati. Il titolo non lascia dubbi: raccoglie le esperienze e i consigli dell’imprenditore digital Marco Montemagno, creatore di Blogosfere, organizzatore di eventi, conduttore televisivo e, soprattutto, punto di riferimento per chi ambisce ad aprire nuovi orizzonti lavorativi con internet: «Per quasi due anni ho fatto un video al giorno sulla mia pagina Facebook, e questo ha portato alla creazione di una community interessata ai miei contenuti». Contrariamente alle persone che vedono nel “mondo alimentato a Wi-Fi” il tramonto dei rapporti umani, Montemagno ne evidenzia le infinite opportunità: «Il libro è rivolto a chiunque voglia essere imprenditore di se stesso. Tra fare il dipendente frustrato e diventare il prossimo Bill Gates esistono milioni di altre possibilità e il digital offre a tutti l’occasione reinventarsi, creandosi un lavoro tagliato su misura».
È vero, secondo te, che sui social l’opinione di un idiota vale quanto quella di un Premio Nobel?
«Sui Social chiunque può esprimere il proprio pensiero, ma penso che i contenuti siano ciò che alla fine paga. Diamo un po’ di credito alla razza umana: saremo anche in grado di riconoscere un idiota da un premio nobel!».
Se il futuro è sul web, perché hai optato per la carta, piuttosto che per un ebook?
«Io personalmente sono amante dei libri cartacei. Comunque, quando si pubblica con un editore, la scelta è sua. La versione digitale probabilmente arriverà in un secondo momento».
In che modo città medio-piccole, come Piacenza, Parma o Cremona, che non hanno patrimoni Unesco, possono attrarre turisti?
«Ci sono infinite possibilità offerte dal digitale: video innanzitutto per mostrare e far conoscere le attrazioni turistiche. Poi penso al mobile: le attrazioni turistiche devono essere facilmente navigabili, e tutta l’esperienza in generale deve essere a portata di un click, dal prenotare il viaggio e l’alloggio al prenotare la visita al museo, al castello…».
Si discute spesso di snellimento della burocrazia attraverso l’informatica. Nel concreto, si investe davvero?
«Non ho la ricetta magica. Penso che manchi la volontà, perché i cambiamenti spaventano e snellire il gigante della burocrazia in Italia vuol dire cambiare radicalmente anche vecchi schemi».
Hai detto che bastava analizzare le pagine Facebook di Trump e Clinton ed era chiaro che avrebbe vinto il primo. Qual è il politico italiano che utilizza meglio i social?
«Non vedo nessun politico in Italia ad oggi che è realmente padrone della materia quando si parla di comunicare online».
Le amministrazioni tentano di stimolare la creatività giovanile sostenendo le startup, soprattutto con aiuti economici. È l’indirizzo giusto?
«Secondo me finché si passa per fondi pubblici, burocrazia e bandi, si continua a giocare con regole vecchie e obsolete e non so fino a che punto sia il percorso adatto».
A Piacenza, la grande multinazionale Alibaba avrebbe chiesto di costruire uno stabilimento di 960mila metri quadri. Una città che basa il suo sviluppo sulla logistica che futuro può avere?
«Nessuna città deve basare il proprio sviluppo solo ed esclusivamente su un unico canale, perché i cambiamenti oggi sono molto rapidi e bisogna sapersi adattare velocemente a nuove realtà. Le opportunità vanno valutate con una visione a 360 gradi e con grande attenzione verso i cambiamenti che sono già in corso, considerando quali possono essere i vantaggi a medio e lungo termine».
L’automazione e la tecnologia ci ruberanno il lavoro? Molti sindacati esprimono questo timore.
«Dall’ultimo foro economico di Davos è emerso che l’anno scorso sono stati automatizzati 14.000 posti di lavoro, ma non ne è stato perso nessuno (dati Accenture). La chiave sta nel formare le persone su nuove skill, affinché siano sempre al di sopra delle macchine. Ci saranno nuovi lavori e ci sarà una sostituzione di lavori esistenti. L’astuzia da parte nostra sta nel cooperare con i nuovi algoritmi, le nuove possibilità, di modo che non ci sia una sostituzione ma una trasformazione del lavoro».
Thomas Trenchi