cultura
Intervista al paroliere "piacentino d'adozione" Berlincioni, recordman di Sanremo
Preferisce la pastiera, ma non disdegna la torta sbrisolona. Per un napoletano che si trova da più di trent’anni a Piacenza, è un dilemma non indifferente. Fabrizio Berlincioni, che nella vita non fa il pasticcere ma il paroliere e l’autore televisivo, è rimasto affezionato alla tradizione culinaria della sua terra: «Sono un’ottima forchetta, Napoli ha una gastronomia più ricca di quella piacentina. Qui, se togli i tortelli, gli anolini e i pisarei, per i quali impazzivo nei primi tempi, resta poco». A dire il vero, effettivamente, il suo mestiere non si discosta molto da quello sui fornelli, ogni ingrediente infatti deve essere calibrato nella giusta misura: «Una grande canzone nasce dal connubio vincente tra paroliere, arrangiatore e cantante. Oggi, troppo spesso, gli artisti tendono ad autoprodurre i loro brani per risparmiare, e il mondo della musica ne risente».
Per esempio?
«Tanti cantanti della vecchia scuola, che inizialmente si avvalevano di grandi autori, come Mogol. Ora, invece, scrivono loro i testi, e il risultato non è lo stesso».
Come nasce il tuo amore per la musica?
«Da ragazzo ero appassionato di musica leggera, compravo i 45 giri. Con una chitarra, cominciai a studiare qualche accordo e a scrivere delle canzoncine, ispirandomi ai miei idoli, Claudio Baglioni e Riccardo Cocciante. I miei compagni di squadra della pallanuoto si accorsero che uscivano cose forti, così andai da Peppino Di Capri, il più famoso a Napoli all’epoca, e ottenni un appuntamento per fargli sentire i miei brani. Gli piacevano, mi disse di registrarli su cassetta e portarglieli, mi avrebbe fatto sapere. Dopo quattro mesi mi comunicò che avrebbe partecipato a Sanremo con “Non lo faccio più”, un mio pezzo. Vinse quell’edizione, il Festival del 1976. Tuttora, sono l’autore più giovane ad aver vinto, avevo 19 anni».
Le ultime edizioni del Festival sono state prese d’assalto dall’opinione pubblica e dalla politica. Come giudichi questi attacchi?
«È un’occasione per fare gossip, discutere e sorprendere, sia per chi lo organizza, sia per gli artisti in gara, specialmente nell’ultimo ventennio. Si pensi al “cavallo pazzo” con Pippo Baudo, o alla Bertè che esibì un finto pancione. Nel passato, Sanremo serviva davvero alla musica italiana, i singoli rimanevano nel tempo e giravano il globo, a prescindere dal piazzamento; le canzoni che escono ai giorni nostri hanno vita breve. Ciò è causato dalla scarsa professionalità di chi scrive, dal crollo dei diritti d’autore e della crisi che ha colpito il settore».
Hai il rimpianto di non aver avuto successo con la tua voce?
«Ho fatto molti provini, purtroppo non ho la predisposizione del cantante. Non avevo una voce appetibile, quindi sono rimasto dietro alle quinte».

Berlincioni con Pino Daniele
Quale collaborazione ti ha dato maggiori soddisfazioni?
«Quella con l’amico Franco Fasano. Ricordo “Mi Manchi” o “Ti Lascerò”, che ha trionfato al Festival di Sanremo del 1989. Quest’ultima è stata interpretata anche da Andrea Bocelli, che l’ha resa famosa in tutto il mondo».
Ti ha mai insoddisfatto la maniera in cui è stato interpretato un tuo testo?
«C’è stato qualche arrangiamento che non mi è piaciuto, tuttavia nel complesso ho sempre avuto a che fare con grandi professionisti, immancabilmente all’altezza: Massimo Ranieri, Adriano Celentano, Mina, Fausto Leali, Marina Fiordaliso, Albano…».
Si moltiplicano i talent show, i concerti si trasferiscono sui canali YouTube e sulle pagine Facebook: aumentano le possibilità di sfondare o si fa confusione?
«Tutto può essere utile a farsi conoscere. Mi viene in mente il caso di Emanuele Fasano, il figlio di Franco, che ha ottenuto un contratto importante grazie ad un video girato da un passante, mentre suonava il pianoforte nella stazione di Milano».
Con quale cantante ti piacerebbe lavorare?
«Con l’ultima generazione, ad esempio Emma, Alessandra Amoroso, Chiara… Non ci ho ancora provato, anche se è difficile addirittura portare alle loro orecchie un mio testo: i guadagni sono calati, e chi collabora con loro si chiude a riccio, non permette a nessuno di avvicinarsi. E poi mi vedono come un vecchio, ho sessant’anni, ma scrivo cose da giovani».

Berlincioni con Gerry Scotti
In televisione cosa sta succedendo?
«È una dimensione completamente opposta. Mi ha dato tante soddisfazioni, come la musica, che è la mia vita. Pure lì si è globalizzato tutto. Le grosse case di produzione comprano format già pronti, lasciando poca inventiva all’autore, che non fa altro che mettere in pratica idee collaudate e realizzate in altri paesi, testate su altri mercati. La creatività è diventata relativa e vincolata».
Thomas Trenchi
