testimonianze
«Mi sono convertita all’Islam, indosso il velo». La storia di una piacentina
Sofia (nome di fantasia) ora è coperta da un velo bianco e grigio: apparentemente sottile e leggero, tuttavia pesante per la cultura occidentale, che lo vede come un passo indietro per l’emancipazione femminile, per l’indipendenza delle donne, quasi un gesto incomprensibile. Eppure, per lei, giovane ragazza piacentina convertita all’Islam, rappresenta autonomia e valori: «La libertà non è determinata dalla quantità di stoffa che si ha addosso. La mia scelta è stata consapevole». Chissà se ancora ha il problema della ricrescita, della messa in piega o dei colpi di sole; certamente – dice lei – ha trovato ciò che cercava nella sua interiorità: «Ho vissuto all’estero, negli Stati Uniti e a Monaco di Baviera. In Italia non conoscevo nessun musulmano; in Germania, invece, per la prima volta ne ho visto uno mentre pregava, così gli ho chiesto cosa stesse facendo. Mi ha incuriosito, ho cominciato a leggere alcune parti del Corano. Per me è stato un cammino di ricerca individuale».
I suoi ritmi quotidiani sono inevitabilmente cambiati: «Ho una maggiore attenzione alla spiritualità, prego cinque volte al giorno. Mi permette di uscire dallo stress quotidiano. Utilizzo la lingua araba, che ho studiato da sola». In passato, Sofia era cattolica: «Ho grande stima del cattolicesimo, riconosco che i valori italiani siano legati ad esso. Anche l’Islam non lo rifiuta, anzi, evidenzia il messaggio di Gesù».
Con i colleghi e gli amici, inizialmente, non è stato facile: «Nei rapporti familiari è cambiato poco, nonostante le perplessità. Alcuni amici mi hanno voltato le spalle, li ho persi. Nel lavoro si pensa che, dato che sono musulmana, abbia meno professionalità, vengo scambiata per una bidella. Sono solo pregiudizi». Anche in amore l’Islam è stato determinante: «Mio marito è siriano, l’ho conosciuto dopo la conversione. Volevo sposare un uomo musulmano, che mi aiutasse nel mio percorso. Se fossi rimasta cristiana, non l’avrei sposato. La mia concezione del matrimonio sarebbe stata diversa: nell’Islam è un patto, non un sacramento, in qualunque momento si può sciogliere. Non esiste una fase di fidanzamento, non vi sono passaggi intermedi “ufficiali”, ma si passa subito alle nozze». Non condanna in toto la poligamia, poiché «può avere un senso per salvare alcune donne, contribuendo alla sussistenza di un popolo. Il Corano, nella sua lettura meno liberale, sostiene che sia possibile unirsi ad un massimo di quattro mogli. In Italia non sarebbe accettabile».
Visto da fuori, l’Islam pare una dimensione complessa, soprattutto di fronte ai numerosi casi di violenza disseminati nel pianeta, degli attacchi terroristici al grido di “Allah è grande”. L’opinione delle donne musulmane è pressoché assente dal dibatto pubblico. Sofia è chiara, offre la sua visione, filtrata da una retina occidentale: «Le correnti violente derivano dal disagio, dalle seconde generazioni non integrate in Europa, vittime del razzismo e di un clima poco tollerante, fuori dai “radar” delle moschee. Infatti, non frequentando le comunità, gli arruolamenti avvengono su internet, senza che noi possiamo accorgerci della loro radicalizzazione. C’è ignoranza da parte degli stessi musulmani: il Corano è scritto in arabo classico, molto antico, spesso non viene compreso. Si pensa che, senza un intermediario ufficiale, si possa prendere il testo e farne ciò che si vuole. Non è così».
È proprio sulla mancanza di un mediatore tra fedele e Allah che emerge una contraddizione. Pur elogiando «la semplicità dell’Islam, il rapporto diretto tra Dio e persona», e sostenendo che «non occorre una figura tra il libro e chi lo legge», Sofia ammette parecchie scuole d’interpretazione disconnesse tra loro, diverse ombre che possono diventare un appiglio per gli integralismi: «I versetti del Corano rischiano di essere manipolati a seconda del contesto sociale». L’eterogeneità della comunità piacentina non aiuta: «È formata da una moltitudine di abitudini culturali, alimentari, di vestiario e lingua, provenienti da tante parti del mondo. Ciò influisce sull’immagine che viene data dell’Islam. Chi proviene dall’Asia Centrale, ad esempio, dà alla donna un ruolo meno centrale, differentemente dal Marocco. Nei posti dove si gode di minore libertà, bisogna analizzare le influenze subite dal passato, come in Iran, che è caratterizzata dalla tradizione persiana».
«Ero io – ricorda con un sorriso – la ragazza in burqini che destò scandalo la scorsa estate nella piscina comunale. Il concetto è semplice: rispetto lo stesso standard anche quando vado a nuotare. Sono io a scegliere a chi mostrare il mio corpo, tutelandolo dalla visione degli estranei. Il motivo principale del velo per me è il simbolo religioso, per altre è il pudore. In moschea, gli uomini non possono guardare le donne, devono tenere lo sguardo basso, gli spazi maschili e femminili sono rigorosamente separati». Orgogliosa della sua religiosità, non contempla minimamente il laicismo francese: «Tengo al mio credo, non voglio nasconderlo, deve sapersi che sono musulmana. I segni non mi disturbano, considero il crocifisso una ricchezza, una fonte di diversità. Fortunatamente, non siamo tutti uguali».
Thomas Trenchi