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«Attenzione alla speculazione alimentare sui marchi bio o vegan»
«Attenzione alla speculazione sul cibo, nascosta dai marchi bio o vegan». Quante volte, recandosi al supermercato, ci si imbatte in etichette luccicanti che ritraggono la scritta “vegan”, “green” o “biologico”. È la così detta informazione pornografica alimentare, dalla quale Ettore Capri, docente di Chimica agraria presso l’Università Cattolica e vicepresidente di “Piace Cibo Sano”, mette in guardia: «Tutto è sicuro nei mercati, nella distribuzione e nella ristorazione italiana, ma la qualità vera dei prodotti è un’altra cosa. Ci vuole cultura ed educazione alimentare».
Professore, la crisi ha portato a scegliere spesso il cibo più economico. Ciò cosa comporta?
«Il pericolo è l’irresponsabilità sociale: si diventa complici di chi sfrutta popoli, territori, bambini e donne indifese. Si finanziano le guerre dei moderni colonizzatori. La soluzione è acquistare solo prodotti alimentari sostenibili, certificati da enti in grado di testimoniare la tracciabilità delle produzioni e la trasparenza della responsabilità sociale delle organizzazioni. Questa è la qualità reale dei prodotti alimentari».
Qual è, conseguentemente, il costo per la salute?
«I prodotti sul mercato italiano sono sicuri per la salute. Il costo per il consumatore di alimenti acquistati in modo irresponsabile ed oggetto della speculazione finanziaria è il costo del benessere umano, della società e dell’ambiente. Questo non è normato ed è la più importate declinazione attuale del welfare».
Il prezzo può essere un indicatore della qualità di un cibo?
«No, neanche per sogno. Bisogna imparare a conoscere il prezzo di partenza degli alimenti. Ad esempio, se produrre una bottiglia di olio in Italia ha un costo minimo – finito – di 11,5 €, questo è il prezzo minimo! Al di sotto, forse, si sta finanziando il caporalato in un Paese estero».
Mangiare sano costa caro?
«No. Quello che costa è informarsi ed educarsi alla conoscenza delle questioni alimentari».
In questo contesto, in Italia aumenta il numero di vegani e vegetariani, i quali dichiarano di non mangiare carne – oltre alla motivazione etica – per tutelare la propria salute e rispettare l’ambiente. È davvero così?
«Ben vengano vegani, vegetariani, geofagi, crudisti, entomofagi… Tutti abbiamo da imparare e condividere i valori del cibo, ma per tutti servono le stesse regole di consapevolezza alimentare. Bisogna nutrirsi solo di prodotti sostenibili e non diventare schiavi della disinformazione e del mercato. La mia preoccupazione è che, proprio vegetariani e vegani, oggi rappresentino le face di consumatori più a rischio – insieme ai bambini, agli anziani e alle donne in gravidanza – perché i loro alimenti sono oggetto di speculazioni finanziarie. Parecchi dei cibi vegetariani e vegani sono solo disaggregati e rifiuti di produzioni industriali risanate per il consumo umano».
L’ampia diffusione dei locali etnici, per esempio kebab o sushi, può amplificare il problema della sicurezza alimentare?
«Ribadisco, in Italia vi sono cibi sicuri, ma la sicurezza alimentare è ben diversa dalla qualità. Le faccio un esempio facilmente comprensibile: l’impiego del battitore ha permesso a tutti i ristoratori di servire pesce crudo, poiché le basse temperature sterilizzano. Tuttavia, quanti consumatori sanno distinguere se il pesce è fresco e sostenibile? Il pesce, grazie a questo trattamento, è diventato conforme dal punto di vista igienico-sanitario, non pizzica la lingua, è inodoro, neutro e non puzza di pesce. Quindi è sicuro. Peccato che sia pesce marcio, nel migliore dei casi risanato, oppure una gallina ingrassata a soja e travestita da pesce».
Thomas Trenchi