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politica

Il diritto all'orma (contro i nazionalismi). La riflessione di Zagrebelsky

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Certe volte, per essere ascoltati, non è necessario urlare. L’abbiamo imparato, io e tutte le altre persone che venerdì 23 settembre affollavano la Sala dei Teatini, da Gustavo Zagrebelsky, giudice costituzionalista ed ex presidente della Corte costituzionale; per quasi un’ora, pur leggendo un discorso precedentemente scritto con un tono di voce pacato, tranquillo, ha catturato l’attenzione dell’intera assemblea, che è rimasta in assoluto silenzio fino al termine della conferenza.

L’argomento del suo monologo non era certo dei più semplici: trattava infatti il diritto di ogni essere umano di lasciare traccia. Zagrebelsky lo chiama “diritto all’orma”, partendo dai versi della celebre poesia “La sera del dì di festa” di Giacomo Leopardi: “ tutto al mondo passa,/ e quasi orma non lascia”. Questa visione “Leopardiana” sembra lasciare ben poco spazio all’ottimismo, ma, secondo il giudice, è quel “quasi” a rappresentare una speranza: significa che le opere umane sono sì effimere, ma non del tutto. Il deposito delle esperienze del passato che rimangono nel presente e vanno verso il futuro formano il nostro patrimonio culturale, e lasciano quindi almeno una piccola traccia del nostro passaggio sulla terra a chi verrà dopo di noi. È quando questo diritto all’orma viene violato che si annienta completamente l’individualità di un essere umano.

Zagrebelsky ha raccontato di tutte quelle categorie di persone che vengono ritenute invisibili, praticamente inesistenti . Sono i cosidetti “senza nome”: tutti quei singoli individui che si nascondono dietro le statistiche e le grandi cifre. Come quei 69 milioni di bambini che secondo l’Unicef moriranno di fame, malattia o povertà entro il 2030. Non conosciamo nulla di loro, come si chiamano, dove vivono, quanti anni hanno ma soprattutto non abbiamo idea della loro individuale tragedia; sappiamo solo qual è il loro ineluttabile destino e di quale grande tragedia fanno parte. Considerandoli solamente come una massa, un gruppo di persone, cancelliamo completamente la loro unicità e neghiamo loro il fondamentale diritto al nome, che rappresenta il singolo e la sua personale esistenza.

Zagrebelsky ci ha spiegato che proprio sull’annullamento della dignità individuale si basava, per esempio, la politica nazista nei confronti degli ebrei: nei lagher non esistevano persone, ma pezzi. E, purtroppo, la situazione non è diversa per gli emarginati sociali di oggi, all’apice dei quali si trovano i migranti. A loro non è soltanto negato il diritto al nome, ma anche quello alla casa: nel luogo da cui scappano, infatti, è ormai diventato impossibile vivere; in quello in cui arrivano, invece, non sono ben accetti. Fra chi arriva in un Paese e la sua popolazione si crea una collisione di diritti: entrambi chiedono sia rispettato il diritto alla casa, pur intendendolo in modo diverso. Per un migrante significa la possibilità di abitare in un luogo in pace e senza paura; per un cittadino di un Paese soggetto ad immigrazione, vuol dire condurre la propria esistenza senza essere “disturbato” da chi è arrivato dopo. Ma chi può decidere che un territorio appartiene solo a qualcuno e tutti gli altri vanno scartati?

Se ci si ragiona sopra, come il giudice ha cercato di farci fare, si arriva alla conclusione che, in realtà, siamo noi ad appartenere alla terra in cui viviamo, non viceversa. È quando si pensa con la logica del nazionalismo che si inizia a chiudersi in sé stessi e a lasciare fuori chi costituisce un intralcio alla nostra serenità del quieto vivere. Così, invece di cercare una soluzione al problema, lo si ignora, negando ai migranti anche il diritto all’azione e all’opinione, perché “li ospitiamo e hanno anche il coraggio di lamentarsi!”. Sostanzialmente, secondo Zagrebelsky, il vero problema nella società moderna è che in politica non esistono diritti degli uomini in quanto singoli individui, esseri umani: le persone sono divise in gruppi e categorie, che hanno alcuni diritti, o, tavolta, non ne hanno nessuno. Ma la domanda che bisognerebbe porsi è: chi siamo noi per impedire a qualcuno di lasciare almeno una piccola traccia della sua vita?

Gustavo Zagrebelsky è riuscito a farci capire che i problemi non possono essere generalizzati ed è sbagliato barricarsi nelle proprie convinzioni. Ma soprattutto, che ciascuno di noi ha una dignità, che esige e merita di essere rispettata.

Caterina Rebecchi (redattore del giornale del Liceo Gioia “L’Acuto”)

L'Acuto è la testata studentesca del Liceo Gioia di Piacenza, che periodicamente condivide i propri approfondimenti con i lettori di Sportello Quotidiano.