Non è la classica favola americana di una scoperta rivoluzionaria nata dietro la saracinesca del garage. Ma poco dista: ciò che ha elaborato l’ingegnere piacentino Fabrizio Rovelli, compiendo i primi esperimenti nell’autorimessa di casa, potrebbe davvero portare un’innovazione senza precedenti nel campo della medicina: curare le paralisi in modo non invasivo, cioè senza inserire elettrodi o altre componenti all’interno del corpo umano, attraverso lo sviluppo di strumenti di integrazione tra cervello e computer. «Ho sviluppato una tecnica per individuare, catturare e digitalizzare i pensieri che coinvolgono il sistema motorio e sensoriale», chiarisce in modo entusiasta Rovelli, «per poi trasferire il compimento di una precisa azione fisica a un’altra persona o a un animale. Perciò sono stato invitato da un gruppo di neurochirurgi a discutere gli esiti della ricerca al TED di Boston».

Il pre-badge di Rovelli per la conferenza che terrà nel 2018 a Boston
Tutto nasce due anni fa in un laboratorio
fai da te nel suo appartamento, quando Rovelli sceglie di «dare un’accelerata alla passione sul
mondo cerebrale, sui meccanismi di funzionamento del cervello, che ho approfondito con lo studio di pubblicazioni scientifiche, chiedendomi
in che modo creiamo un pensiero». Da una domanda filosofica comune a tante persone, e soprattutto da una complicanza della
salute di un famigliare, vengono progettati e realizzati concretamente dei programmi informatici per
estrapolare il pensiero e – detta in estrema sintesi –
“iniettarlo” in un altro individuo. «Sto ottenendo risultati inaspettati e sconvolgenti. Il mio obiettivo è rivolto ad aiutare le persone con deficit cerebrali o malattie degenerative, per intervenire sulle paralisi e
insegnare nuovamente al cervello a muovere gli arti senza ricorrere a macchinari invasivi o ad operazioni a cranio aperto», sottolinea Rovelli, che definisce il suo studio «complicato e all’avanguardia».

Uno screenshot del programma realizzato da Rovelli
«Ho costruito un
software che registra l’
attività elettrica dell’encefalo, in particolare nelle zone responsabili delle funzioni motorie, e che attraverso molteplici passaggi che coinvolgono l’analisi del segnale e l’applicazione di tecniche di
intelligenza artificiale, identifica esattamente qual è il
segnale che permette di muovere una determinata area del corpo. Nella
prima fase di ricerca, quindi, ho decodificato gli
impulsi, li ho ridotti a una
radice comune priva dei tratti personali di ciascuno, e li ho dislocati su un computer. In altre parole, ho estratto il pensiero di un “
individuo A”. Nella
seconda fase, appoggiando semplicemente degli elettrodi sulla pelle di un’altra persona», prosegue Rovelli, «ho introdotto questo pensiero di compiere un gesto o un movimento specifico in un “
individuo B”, che lo ha riprodotto fedelmente. Ha funzionato». Attualmente, le prove stanno continuando su una
blatta, dando frutti sempre migliori e confortanti: per esempio, se Rovelli pensa di girare a destra, la blatta esegue questo spostamento. Sembra
fantascienza, ma non la è.
Alle accuse che connotano negativamente la sua scoperta, come quelle per cui si tratterebbe di un’eventuale arma per il controllo del pensiero, Rovelli risponde che «anche un coltello, impiegato nel modo sbagliato, può uccidere. Ma, al tempo stesso, può tagliare gli alimenti e permettere di sfamarsi. Secondo me, ogni ricerca deve essere avulsa dal contesto. Sono in cerca di investimenti, voglio arrivare a confezionare un dispositivo che, indossato sul braccio, consenta a un uomo paralizzato di sconfiggere la sua disabilità ed eseguire comunque qualsiasi attività».
Thomas Trenchi
0 Comments