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Intervista a Giacomo Cavagna, il “fratello chimico” di Nina Zilli 

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Lavora da anni con i Chemical Brothers, definisce “mio fratello” Nina Zilli e ha una rubrica telefonica da far invidia a Gianni Minà (ricordate la famosa intervista a Massimo Troisi?). Piacentino, 40 anni, non ama apparire, ma i suoi post su Facebook sono spesso un cult. Solo per darvi un’idea: «Finalmente tutti, dico tutti, usano ogni singolo social network solo per scopare… era ora!».

Ci riferiamo a Giacomo Cavagna, sfuggente e strafottente, arguto e spaccone, senza peli sulla lingua e, per rimanere in linea col personaggio, se li avesse non sarebbero i suoi. Da Gossolengo, come l’autrice di “50mila”, è arrivato a collaborare con grandi artisti e in produzioni internazionali. Ogni tanto qualcuno lo fotografa insieme a Chiara – vero nome di Nina – e gli attribuisce un flirt. Lui alza il dito medio nelle uniche foto a fuoco della sua bacheca, e se la ride con quel vocione che è finito persino in un video musicale dei New Order.

Quando gli chiedo un’intervista risponde: «Che vergogna, sono molto riservato». Ma poi non resiste e si lascia andare. In fondo si vede: la vita che conduce gli piace da matti, e allora perché non raccontarla?

Forse sarà l’ultima, quindi godetevela mentre spengo il cellulare per non farmi rintracciare dopo che si sarà accorto che non ho tagliato nulla.

Ma che lavoro fai?

«Nel campo della musica. Dopo anni passati a Mtv e nella redazione di Piero Chiambretti mi occupo oggi in generale della musica elettronica e dance, facendo parte della macchina che organizza singole date e tour, ma collaborando anche con realtà che si occupano di management di artisti che fanno musica elettronica, dance e pop anche di grande successo internazionale».

Ma chi è Giacomo Cavagna? a parte il lavoro.

«Una bella persona, almeno credo. Chiacchierona, disfunzionale e caciarona, che cerca sempre di mettere le persone a proprio agio, decisamente simile al testo di “Stavo pensando a te” di Fabri Fibra. Ma un po’ come lo siamo tutti».

Ci sono pochissime immagini di te sul web, forse nessuna a parte sulla tua pagina Facebook (dove sono tutte sfocate). Collabori con gente molto famosa e non ami apparire, come mai?

«Guarda che non sono Terrence Mallick! Oppure i Daft Punk. Sono semplicemente insicuro come molti. Ma oggi rimpiango di non avere foto di intere parti della mia vita, perché mi spostavo nel momento in cui venivano scattate per il semplice fatto che prolungando l’adolescenza ho anche prolungato le mie insicurezze. Nell’ambiente di lavoro non sono certo io la persona su cui si posano gli obbiettivi. E poi non mi andrebbe di essere quello con l’account pieno delle mie foto sui palchi o sui red carpet che ho vissuto come “comparsa”. Mi sono trovato lì per altri motivi, non per celebrare me stesso o perché sono un artista, ma per fare in modo che vada tutto bene per il pubblico e per i performers. Quando si accendono le luci e i flash è il momento di diventare invisibile, visto che quello è il ruolo di chi sta nel vero backstage».

Da anni organizzi i dj set dei Chemichal Brothers in Italia. Come sono Tom Rowlands e Ed Simons dal punto di vista umano?

«Sono due di noi, e moltissimi dei miei più cari amici te lo possono testimoniare. Sono due persone ordinarie con più di un talento straordinario, sono quello che molti artisti credono di essere: veri».

E come artisti?

«Rispecchiano la personalità che ti ho appena descritto: completi e profondi. Avrei da dire solo cose assolute su di loro. Artisticamente riescono a mesmerizzare me e milioni di persone in giro per il mondo. A volte prima di certe date, se stai in mezzo al pubblico, senti un movimento e un’energia che solo prima di una loro performance puoi carpire, e quando ritorni nello stesso punto appena dopo senti che quell’energia si è incanalata completamente nella performance dal palco alla bolgia. Rappresentano in pieno quel rapporto che si crea fra un certo tipo di pubblico di massa e un artista».

Non appari nelle foto, ma la tua voce ha fatto il giro del mondo in Tutti Frutti, una delle tracce contenute in Music Complete dei New Order. Com’è successo?

«Si ritorna sempre a loro due. Tom Rowlands ha prodotto molte tracce di quell’album e lui ha avuto l’idea di una voce roca come la mia che blaterava nonsense in lingua italiana specificandomi di utilizzare le parole “Tutti Frutti” in quanto facilmente riconoscibili per gli stranieri come lingua italiana. Registrai questi miei deliri da Leo e Mattia agli Audiozone Studios e dopo più di un anno mi dissero: “You made the cut!!! you are on a New Order record my friend”. Da lì mi sono svegliato in un ospedale (ride). Nessuno parla mai dell’ottimo lavoro dell’Audiozone Studios, ma alla fine hanno registrato un non professionista come me per un disco e una produzione di grande valore artistico. Tom stesso mi scrisse “sounding great.” che non era solo riferito al suono della mia voce plasmato dalle Lucky strikes ma anche a come Mattia e Leo mi avevano “fatto suonare”, che non è poco, accidenti. Mi piace pensare a questo episodio come di essere stato un piccolo ingranaggio che ha fatto funzionare una macchina decisamente più grossa, specialmente dal punto di vista artistico. Anche perché ripeto: non sono un artista!».

Se scorri la rubrica del cellulare, quanti sono i nomi di artisti famosi che trovi?

“Sotto la A da ieri ho Luca Argentero – sghignazza -. Ma credimi, qui a Piacenza c’è una persona che mi batte mille a zero. Anzi, tutti quelli della mia rubrica vengono dalla sua».

Penso di sapere chi è. Ci arriveremo. Intanto sei partito da Piacenza, però secondo te è Milano l’unico trampolino per raggiungere certi livelli? 

«E’ una domanda molto difficile, a cui non credo di saper rispondere. Ci provo. Per esempio, da Cosenza è ancora Milano la città da cui catapultarsi? O da lì forse diventa Roma? Joseph Capriati è partito da Napoli. Lady Gaga da La Spezia? Io e molti altri veniamo lasciati fuori dal 90% dei luoghi più conosciuti e dalle produzioni più blasonate a Milano, dove magari stanno suonando il remix di “Tutti Frutti. Diciamo che Milano è uno di quei posti dove succede tutto e niente e dove sei costretto a metterti in vetrina sennò non esisti. Mentre magari qualcuno a Londra si chiede davvero chi sei. Al contempo il tuo vicino di Piacenza pensa che sei uno sfigato banfone. I rapporti fra la provincia e la “capitale” sono sempre sdrucciolosi e difficili da classificare. Portare al Paradise il prossimo Skrillex verrebbe considerato un cosiddetto “certo livello”? Io direi di sì!!! Anche se non esiste il prossimo Skrillex, anche perché lui non è il prossimo di nessun’altro. Spero di essermi espresso in modo lontanamente comprensibile, ma avevo detto che era una domanda difficile».

Quando torni a Piacenza come la vedi? Si parla di rinascita di una scena, soprattutto dal punto di vista degli eventi organizzati da giovani, festival musicali e artistici. 

“Io sono un piacentino, faccio parte dell’arredamento dei locali come tutti gli altri. Diciamo che mi piace esserlo part-time, ma alla fine sono un Piacentino con la P maiuscola. Sulle manifestazioni di Piacenza dico solo che chiunque se ne occupa lo faccia nel modo e con l’entusiasmo giusto, che ci sia una lunga vita e una crescita smisurata, solo per fare qualche esempio, per Tendenze, il Bleech, il Why Not, Orzorock, la Psy Trance al Delubra, il neonato The Wall e tutti gli altri. Così, a bruciapelo, non vorrei scadere nelle noiosissime e artisticamente mortali analisi di mercato come neanche nelle schifose e piccole simpatie e antipatie locali. A Treviso è nato l’Home Festival, a Reggio Emilia il Maffia. Insomma, a volte quei pomposi e ovvii motivational di Facebook potrebbero servire a qualcosa no? Sognare non costa a niente. Dimenticavo: c’è il Festival Beat da cui tutti devono imparare».

Intanto quest’anno San Remo sarà condotto da Claudio Baglioni, che è anche direttore artistico: puoi sfogarti.

«Non saprei su cosa sfogarmi. Chi era il direttore artistico l’anno in cui la stupenda “Luce” di Elisa vinse? Da quanto tempo non si sente qualcosa di così bello a San Remo? E’ colpa di Fazio, Baglioni o chi per loro? I Quintorigo, gli Afterours o i Marta sui Tubi hanno portato le loro canzoni migliori a San Remo? Mi pare proprio di no. Io penso che la qualità dei brani scavalchi qualsiasi Consiglio di amministrazione e “Luce” la porto sempre come esempio supremo. Un brano con un beat trip hop che conquista l’Italia intera e vince a San Remo. Ecco la musica, quella bella fa questo. E’ l’unico vero sfogo costruttivo che mi sento di fare, per il resto possiamo stare qui a farneticare sui singoli demeriti visto che la gogna oggi va tanto di moda».

E allora veniamo a quella che definisci “mio fratello”. Tu e Nina Zilli, altra piacentina che di strada ne ha fatta, siete molto amici. Ma ti ha mai fatto incazzare? 

«Lei ha fatto il coast to coast, altro che strada (ride). Siamo amici da sempre, in un gruppo composto da me, lei, il Bubba, la Gattazza, il Ghery, Cavitos, Danilo, e pochi altri. Lei non mi ha mai fatto incazzare, perché non sbaglia mai un cazzo e te lo dico davvero. Io sicuramente l’ho fatta incazzare, anche l’altro giorno quando le ho finito la bresaola. Comunque, noi siamo la “cumpa” di Gossolengo e direi che tutti abbiamo la peculiarità di essere abbastanza cazzuti. All’interno di quei nomi che ti ho fatto ci sono un altro paio di elementi estremamente unici, dei quali uno ha fatto una carriera fulminante a livello internazionale nel mondo delle telecomunicazioni. Alla fine alcune persone che sono entrate nella mia vita mi hanno fatto riflettere su come siamo stati fortunati a essere nati e cresciuti tutti a pochi metri di distanza, senza però avere mai un’incomprensione. Forse perché alla fine siamo tutte persone al di fuori dei canoni ma estremamente unite. Penso sia una situazione abbastanza unica e fortuita e solo ora penso di averlo compreso. Nina Zilli, poi, è la più bella, la più brava e la più capace in tutto, non ha mai sognato di essere Miss Liceo o la più corteggiata di Gossolengo, ma ha sempre pensato e agito in grande, si è fatta un mazzo tanto ed è riuscita a trovare lo spazio che si merita sotto le luci della ribalta. Perché lei sapeva quello che poteva e voleva fare. A pensarci oggi sembrava fosse predestinata».

Com’è nata la vostra amicizia?

«Attorno al campetto da basket di Gossolengo e alle case rosse, un condominio dove ci trovavamo per giocare a 10-12 anni».

E com’è che i suoi tour non toccano mai Piacenza? 

«Perché quelli della Dark Polo Gang sì? La vera domanda è quella».

Torniamo a te. L’artista o gruppo preferito?

«Senza ombra di dubbio i Chemical Brothers, loro esprimono ogni mio desiderio auditivo e non solo. Rappresentano per me il non plus ultra sotto ogni aspetto».

Senti, ma con chi ti piacerebbe lavorare ancora? C’è un artista con cui lo faresti anche gratis? 

«Nel mio mondo lavorare gratis è all’ordine del giorno, purtroppo… Però adorerei incontrare Elton John. Poi vorrei parlare con il producer Sophie per chiedergli come ci si sente a scrivere il futuro e il batterista dei Faith No More per dirgli “grazie”. Oppure incontrare Tiziano Ferro per fargli sapere quanto mi piace il brano “La differenza fra me e te” e alla fine conoscere St. Vincent perché perdo i sensi per quanto è straordinariamente bella e brava».

Prima di questa intervista, l’ultima canzone che hai ascoltato?

«Tu t’e scurdat’ ‘e me di Liberato».

Meglio il sesso o la musica?

«Le discussioni etiche sulle Silent Disco sui social networks piacentini – ride di gusto -».

All’inizio mi hai detto: che vergogna, sono super riservato. Ti sei pentito?

«Adesso che la sto leggendo sì».

È stato un piacere. Ci vediamo a Piacenza per uno sprizz, ma naturalmente offri tu! 

«Allo Chez Moi, dove ho il conto. Si fidano ciecamente di me e dei miei ospiti».

Gianmarco Aimi

Muove i primi passi alla Cronaca e dopo un anno passa alla Libertà. Nel frattempo entra nella redazione di Radio Sound. Da sei anni collabora con il Fatto Quotidiano e attualmente dirige le riviste Soccer Illustrate e Sport Tribune, oltre a essere tra i contributors di Riders magazine.