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Padre Zerai: «La Bossi-Fini è una legge ingiusta». Domani l’incontro pubblico
Domani, alle ore 18, nella Serra di Palazzo Ghizzoni Nasalli si terrà la presentazione del volume “Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura”. Uno dei relatori sarà proprio Padre Zerai, intervistato in anteprima da Sportello Quotidiano.
«La xenofobia si manifesta quotidianamente con gli atteggiamenti di intolleranza: quando si insulta un immigrato per strada o sull’autobus, quando gli si nega un lavoro o l’affitto di un’abitazione. Sono episodi frequenti. Il problema è evidente soprattutto nel momento in cui questi casi rappresentano la normalità, smettono di stupire e vengono accettati». Per Padre Zerai, il sacerdote cattolico eritreo indagato dalla procura di Trapani per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e già candidato al Nobel per la Pace, oggi starebbe accadendo una persecuzione ideologica simile a quella contro il mondo giudaico o rom.
L’argomento verrà approfondito domani, alle ore 18, nella Serra di Palazzo Ghizzoni Nasalli, dove la Fondazione Piacenza Futura e l’Associazione Alice ospiteranno la presentazione dell’ultimo volume del senatore Luigi Manconi “Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura”. In questo libro, gli autori Manconi e Resta lanciano un grido d’allarme: secondo loro, l’intolleranza etnica ha trovato spazio nel discorso pubblico e nella sfera politica, legittimando comportamenti fino a ieri censurati, grazie a figure pubbliche che fanno del proprio ruolo istituzionale una risorsa significativa di produzione e legittimazione dell’ostilità sociale nei confronti dello straniero.
Incalzato sulla questione, Padre Zerai – indagato in quanto raccoglierebbe gli SOS degli scafisti, avvertendo la guardia costiera e le ong – ha delineato il quadro della situazione in anteprima dell’appuntamento piacentino.
Domani, durante l’incontro, verranno raccolte le firme per modificare la legge Bossi-Fini. Come giudica questa norma sull’immigrazione?
«Ritengo sia un provvedimento sbagliato e ingiusto. Con la parola “clandestino” le persone sono state spogliate di dignità e diritti fondamentali. Un datore di lavoro, a causa della Bossi-Fini, può ricattare un dipendente straniero: non accettando certe condizioni salariali – molte volte al limite della schiavitù -, l’immigrato perderebbe il permesso di soggiorno e sarebbe espulso».
Perché il Partito Demcoratico, cioè una compagine di centrosinistra, non ha mai rimpiazzato questa norma di matrice leghista?
«Le promesse non vengono mantenute, la politica è fatta di compromessi. Garantire i diritti degli immigrati rischia di ledere gli interessi del mondo economico, che perderebbe una manodopera sfruttabile a basso costo».
Da una parte lei è indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dall’altra è già stato candidato al Premio Nobel per la Pace… Legge e valori non vanno nella stessa direzione?
«No, non sempre. Capita che il legislatore subisca le pressioni di lobby e gruppi di potere».
La scorsa amministrazione di Piacenza ha siglato un accordo con Asp per gestire i richiedenti asilo attraverso la macchina pubblica, direttamente con gli strumenti dei servizi sociali. La nuova Giunta starebbe valutando di non rinnovare il patto. Come giudica questa soluzione alternativa alle strutture private?
«Ciò che conta è plasmare un progetto sul bisogno dei rifugiati e sul percorso di integrazione, e non creare posti di lavoro per le cooperative. Chi scappa dalla guerra, dalla crisi, dalla fame e dalla povertà deve poter cominciare una nuova vita, accedendo al tessuto sociale ed economico del Paese».
In pratica che strada bisogna intraprendere?
«Occorre creare compatibilità tra la persona accolta e il territorio. Puntare sulla formazione linguistica e professionale, tenendo conto delle caratteristiche del luogo. Faccio un esempio: se si tratta di territorio agricolo, i profughi devono essere formati in questo settore».
I lavori di pubblica utilità, come potare le piante o pulire le strade, sono una buona idea?
«Può essere un’attività positiva per avvicinarsi alla popolazione e per imparare un mestiere. Ma non devono diventare a tempo indeterminato. Dopo un periodo di volontariato, bisognerebbe avviare una retribuzione ai profughi, così da renderli autonomi».
Esiste una colpa politica all’intolleranza?
«Certamente. Nella popolazione la xenofobia è frutto di paura e ignoranza, della diffidenza verso le diversità. La politica cavalca questi atteggiamenti e i mezzi d’informazione alimentano il razzismo. I casi di cronaca inerenti gli stranieri, infatti, vengono amplificati. Si cerca costantemente negli extracomunitari il parafulmine di tutti i mali. In passato accadeva con gli ebrei, gli zingari e i meridionali, oggi è il turno dei profughi».
Thomas Trenchi