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Giampaolo Maloberti: «No al fanatismo vegano, porterò Cruciani a Piacenza»
«L’estremismo vegano è una piaga da estirpare, che mette a rischio le tradizioni, l’indotto e l’economia del nostro territorio in modo radicale». Perciò Giampaolo Maloberti, presidente del Consorzio di allevatori e macellai La Carne Che Piace, ha invitato a Piacenza il conduttore radiofonico Giuseppe Cruciani, noto anche per le battaglie mediatiche contro gli eccessi dell’animalismo e del veganesimo. «Ha già dato la disponibilità a fissare un incontro nella nostra città, stiamo definendo i dettagli», spiega Maloberti. «Cruciani presenterà il suo ultimo libro “I fasciovegani – Libertà di cibo e di pensiero”, un inno all’indipendenza a tavola contro i fanatismi, le degenerazioni e soprattutto le falsità di questa dieta tanto di moda».
Maloberti, quali pensi che siano i problemi legati all’alimentazione vegana?
«Si tratta di un’etica infondata, incentrata su un sistema produttivo responsabile a sua volta di disastri umani, ambientali e climatici. La quinoa, per esempio, uno dei principali ingredienti utilizzati dai vegani, viene coltivata nei due Paesi più poveri del Sud America, Perù e Bolivia, e ha totalmente peggiorato l’esistenza degli abitanti di entrambi i Paesi».
Ciascuno non può essere libero di mangiare ciò che vuole?
«Certamente, ma i vegani portano avanti un capriccio che mette in discussione la zootecnia dei nostri territori. Non accettiamo gli attacchi sistematici contro la carne e i prodotti di origine animale, fonte di sostentamento per numerose famiglie».
Durante l’ultima edizione del Pets Festival un gruppo di animalisti ha esposto questo striscione: “Ciò che i nazisti hanno fatto con gli ebrei, gli umani lo stanno facendo con gli animali”. Come lo giudichi?
«Una porcata. Un insulto gravissimo contro le persone che hanno subito una violenza indiscriminata. Questi fanatismi sono da bloccare assolutamente».
Che iniziative porta avanti il Consorzio La Carne Che Piace?
«Tutela e valorizza gli operatori, i macellai, gli allevatori e gli agricoltori piacentini che uniti possono scardinare l’egemonia delle multinazionali e della grande distribuzione di bassa qualità. Il nostro consumatore ideale è nonna Pina che alla domenica, con il lesso e lo stracotto a chilometro zero, prepara gli anolini per tutta la famiglia».
Non perdi occasione per attaccare le istituzioni europee. In che direzione sta andando la globalizzazione alimentare, secondo te?
«I prodotti alimentari sono in pericolo, minacciati dal guadagno facile ambito dalle grandi aziende e dal libero scambio voluto dalla politica. L’emblema è il glifosate, un potente diserbante cancerogeno che, secondo alcune inchieste giornalistiche, è contenuto in diverse paste italiane. Il pane e la pasta sono alla base della dieta mediterranea: ciascuno, secondo uno stima, consuma 26 chili di pasta all’anno. E gran parte d’essa viene prodotta utilizzando il grano duro canadese, il quale – essendo OGM – può essere sottoposto a cinque trattamenti di glifosate, a differenza di quello italiano che – non essendo geneticamente modificato – non può essere sottoposto a trattamenti di glifosate durante la coltivazione. È un piano diabolico, che comprometterà la nostra salute».
Si discute da tanto tempo sull’impiego del glisfosate. Per l’Agenzia europea delle sostanze chimiche non sarebbe cancerogeno.
«Peccato che i cereali cresciuti con i trattamenti del glifoste abbiano un valore economico mondiale di 5 miliardi di dollari. E che l’Ue abbia avviato – per ora in via provvisoria – il CETA, un accordo di libero scambio con il Canada. Insomma, temo che negli uffici di Bruxelles non si facciano propriamente gli interessi legati alla salute, quanto ad altri fattori meno nobili».
In Italia qual è la situazione, invece?
«Penso che la Politica agricola comune approvata dalla Commissione europea stia uccidendo il settore, prevedendo per norma il 5% del terreno incolto. In questo modo si svantaggia il comparto, favorendo l’avanzamento dei boschi e – di conseguenza – dei dissesti idrogeologici. Nel Belpaese, infatti, la valutazione economica del grano duro è calata del 2% rispetto a vent’anni fa. La terra, quando viene trattata correttamente, può essere molto generosa. Al contrario, no».
Thomas Trenchi