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Capitale della cultura, l’artista Alessandra Chiappini propone una mostra sui Farnese
«Ritengo opportuna la candidatura di Piacenza a capitale della cultura 2020». Parola di Alessandra Chiappini, artista piacentina e professoressa di storia dell’arte, che giovedì scorso ha presentato le proprie opere nella sede dell’associazione Amici dell’Arte, in via San Siro 13.
«La nostra città artisticamente è molto ricca, dotata di un gioiello come Piazza Cavalli, di una bellezza straordinaria, e relegata a destinazione secondaria solo in virtù della presenza in Italia di esempi di bellezza assoluta. Per completare l’offerta con un evento di richiamo si potrebbe realizzare una grande mostra sulla famiglia Farnese: la sua ascesa a Roma, la figura di Papa Paolo III – di cui si potrebbe ospitare il famoso ritratto di Tiziano -», prosegue la prof Chiappini, proponendo anche «approfondimenti sulla famosa congiura ordita dai Gonzaga che portò alla defenestrazione di Pierluigi, su come i Farnese abbiano portato a Piacenza i maggiori architetti del momento, il Vignola per la costruzione del palazzo e il Mochi per la realizzazione delle statue equestri più belle della storia dell’arte italiana».
I giovani e l’arte: matrimonio o divorzio?
Se una città si candida a diventare la portabandiera culturale della nazione, deve poter contare sulla partecipazione della cittadinanza in modo trasversale. Non sempre la parola arte cattura i giovani. «Alcuni studenti rimangono indifferenti all’arte, ritenendola qualcosa di distante dalla loro vita e dai loro interessi», commenta la prof Chiappini, che insegna nel Liceo Melchiorre Gioia. «Molti altri, però, l’apprezzano sia nelle forme antiche che in quelle moderne e contemporanee. Mi pare che in linea di massima le esperienze che riscuotono più interesse siano le avanguardie del primo Novecento. L’arte contemporanea viene compresa con più difficoltà dai giovani, che del resto non hanno la possibilità di trattarla in modo esauriente a scuola. Spesso mi rallegro di come traggano gioia dall’incontro con le opere del patrimonio italiano, riportandomi le foto e le impressioni e dandomi l’idea di aver sinceramente goduto della loro bellezza».
La produzione artistica della prof Chiappini
I quadri di Alessandra Chiappini, che le appaiono in mente come un lampo improvviso durante la quotidianità, prendono successivamente forma nel suo laboratorio in taverna. «Le mie prime esperienze pittoriche facevano riferimento al mito e all’idea di Nieztsche dell’eterno ritorno, che accomuna tutti gli esseri viventi che si avvicendano nell’esistenza con la stessa brama di vivere», spiega la Chiappini. «Poi è seguito il ciclo su L’uovo di Lusurasco, un componimento poetico di mio marito, Stefano Torre, in cui le vicende umane si ricollegano a quelle universali e in particolare ai moti celesti. Infine sono approdata al tema del deserto, in una prima fase abitato da rovine antiche, specchio della decadenza contemporanea».
La sperimentazione è sempre stata una colonna portante del suo percorso. «Un paio di anni fa, ho abbandonato il disegno a biro che mi aveva sempre caratterizzato, per abbracciare più decisamente la materia, che poteva valorizzare meglio il mio segno, inteso anche come gesto, e permettermi un’esecuzione più diretta, direi quasi più fisica».
Anche oggi, nonostante il settore sia in forte crisi e gli acquirenti pressoché assenti, pervadono la passione e la volontà di mettersi in gioco. «Recentemente ho cercato di scandagliare ciò che mi interessa più profondamente, elencando libri letti e amati e incolonnandoli in base alle tematiche ricorrenti. Lo spirito estatico con cui amo frequentare la montagna è il senso stesso della mia pittura: è una sorta di ascesi, perdersi e riunirsi al tutto di fronte alla vastità, e alla varietà del paesaggio naturale, considerato anche nel suo farsi e disfarsi nel corso del tempo», conclude la prof. «In fondo è come il naufragare nel mare infinito di Leopardi, ma la mia pittura è un infinito dalle forme plastiche e fluide».
Thomas Trenchi