curiosità
Lo sterco rinasce nel Museo della Merda di Castelbosco. La visita esclusiva
Gianantonio Locatelli, padrone di casa del Museo della Merda, ha accompagnato la squadra di Sportello Quotidiano in una visita esclusiva nei locali espositivi. Foto di Marco Caviglioni

La merda che non t’aspetti. Raffinata, elegante e indispensabile: che rivendica la propria dignità, sdoganandosi dall’accezione puramente negativa. Succede per un week end al mese nel Museo della Merda di Castelbosco, nel comune di Gragnano Trebbiense, una realtà internazionale avviata dal milanese Gianantonio Locatelli accanto alla propria azienda agricola e inspiegabilmente trascurata dal pubblico piacentino.
«I media di tutto il mondo hanno approfondito il nostro museo, perfino il New York Times. I prodotti ricavati dalle feci interessano soprattutto la California, dove sto esportando diversi esemplari. Vogliamo dare valore alla cosa più umile che esista, cioè la merda, recuperandola in chiave energetica e per la produzione di materiale modellabile in sostituzione all’argilla. È una sorta di missione ecologica che tutti possono capire, basta non avere preconcetti», sottolinea Gianantonio Locatelli, la cui impresa – che si avvale di oltre 3mila bovini – è tra le principali produttrici di latte per il Grana Padano. «La merda è democratica. La nostra è una rivoluzione contro ogni perbenismo. A Piacenza siamo stati ignorati, forse c’è un po’ di puritanesimo. Nelle città, a dire il vero, è più difficile far comprendere il valore degli escrementi».
Il prossimo week end riaprono le porte del Museo
Il Museo della Merda è stato inaugurato nel 2015, dopo molti anni di sperimentazioni nel campo della trasformazione e dell’arte. L’idea è quella di sublimare il letame come portatore di vita e di rinascita, accostando una parola alta, come museo, a una estremamente bassa, come merda. Nel 2016 il progetto è stato premiato al Fuorisalone di Milano. Nel prossimo fine settimana, il 25 e 26 novembre, la struttura riaprirà le porte ai visitatori. Il costo d’ingresso è di cinque euro.
La visita esclusiva di Sportello Quotidiano
Ma lei di dov’è? Io sono di tanti posti. Si presenta così Gianantonio Locatelli, padrone di casa del Museo della Merda, che ha accompagnato la squadra di Sportello Quotidiano in una visita esclusiva dei locali espositivi all’interno di un castello del Duecento. «Invece di rifare gli intonaci, abbiamo ricoperto le crepe di escrementi. Chiaramente li abbiamo deodorizzati, eliminando la componente di metano. Ho soprannominato una stanza la Cappella Sistina della merda secca. Presto commercializzeremo questo rivestimento per pareti, così chiunque potrà ricoprire di sterco la propria abitazione. Da tutto il mondo guardano con interesse al Museo, pochi giorni fa ne parlavo a Parigi. Castelbosco è diventato un punto di riferimento, mi considero un milanese prestato alla causa piacentina», aggiunge Locatelli.
Il tour prende il via passeggiando tra due silos utilizzati nell’azienda agricola tanto tempo fa, che dovrebbero ricalcare un portale formato da colonne antiche. La sala iniziale è dedicata all’alchimia. «Scavando nel passato, abbiamo trovato il testo Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, in cui si evidenzia l’impiego delle feci per curare le malattie dell’uomo. Abbiamo ricostruito un’ipotetica farmacia dell’epoca, con le stesse ricette trascritte nel trattato». Vicino agli scaffali è in mostra un grosso coprolite di dinosauro, cioè un escremento fossile che si è consolidato attraverso un flusso calcareo. «Pare che questa roccia arrivi dal Madagascar», chiarisce Locatelli. «L’abbiamo poggiata su una colonna di “merda cotta”, una pasta a base di argilla e feci che solidifica a mille gradi, considerabile alla pari di un coprolite moderno».
Con la “merda cotta” sono stati realizzati anche piatti, bicchieri, stoviglie, tazze e mattonelle. Il tutto è in vendita nel Shit Shop. «Spediamo questi prodotti in tutto il mondo», continua Locatelli. «Il piatto fatto di “merda cotta” mette in luce il nostro messaggio: il cibo rincontra se stesso, rigenerato sotto una nuova veste. Stiamo proponendo un’innovazione per salvare il suolo: ricorrendo in minor dose all’argilla, è possibile avere a disposizione più superficie coltivabile». E il paradosso aumenta pensando alla partecipazione del Museo della Merda ad Expo 2015, dove al centro del dibattito vi era l’alimentazione.
«Il nostro “Giga mattone di Merda” è diventato protagonista di un parco pubblico svedese». A Stoccolma infatti, in occasione di un piano di rigenerazione urbana, sono stati acquistati sei blocchi di “merda cotta” per sostituire alcune panchine pubbliche. «Abbiamo inventato anche il “Merdame”, l’unico concime sul mercato preparato solamente con letame».
«Dalla merda si ricava l’energia rinnovabile migliore»
Agli albori del Museo della Merda c’è anche la volontà di ricavare, con sistemi innovativi, elettricità dallo sterco. «Oggi otteniamo fino a 3 megawatt all’ora. Vendiamo la risorsa e riscaldiamo gli edifici e gli uffici dell’azienda con la temperatura sviluppata dai digestori quando scambiano il letame in energia». Locatelli illustra questo procedimento di fronte a un voto di epoca etrusca che ritrae il corpo umano. «Gli impianti funzionano come il nostro organismo. I contenitori nei quali passa il letame privo di ossigeno equivalgono ai digestori. Il biogas è l’unica energia rinnovabile da cui si può trarre profitto 365 giorni all’anno, indipendentemente dai fenomeni naturali come il sole, l’acqua o il vento. Il progetto aziendale è radicato sul pensiero filosofico di riutilizzare ciò che viene considerato lo scarto per eccellenza».
«Le feci valgono più dell’oro»
Al muro sono appese delle tele del pittore biellese Roberto Coda Zabetta, «che ha spennellato merda liquida e pigmenti naturali». A pochi centimetri c’è un omaggio alla “Merda d’artista” di Piero Manzoni: nel 1961 sigillò novanta barattoli di latta, identici a quelli per la carne in scatola, ai quali applicò un’etichetta con la scritta “Merda d’artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961”. «Oggi questi contenitori valgono più dell’oro, ma sono semplicemente simbolici. Al contrario, io voglio illustrare il processo di trasformazione. Il museo non è ispirato a Manzoni, ma ho voluto comunque rendergli omaggio», spiega Locatelli.
Lo scarabeo è il simbolo del museo
L’emblema del museo è lo scarabeo stercorario, una specie che si nutre di sterco, «costruendosi palline di merda da mangiare o dentro cui deporre le uova», racconta affascinato Locatelli. «Dopodiché portano queste palline sottoterra, rendendo il terreno fertile. È un lavoro encomiabile. La desertificazione molte volte è causata dalla mancanza di materia organica».
Thomas Trenchi
