politica
Stranieri a Fiorenzuola sopra la media. «Il multiculturalismo è possibile»
Fiorenzuola d’Arda ha una media di stranieri più alta rispetto all’intera provincia. Mentre nel territorio piacentino gli stranieri residenti rappresentano il 14% (per lo più rumeni, albanesi e marocchini), sul pallottoliere fiorenzuolano sono il 17,6% (2.697 unità provenienti soprattutto da Marocco, Romania e India). Sono dati oggettivi elaborati dall’ISTAT al 1° gennaio 2017, che aprono la discussione sulla convivenza tra culture diverse.
«Il multiculturalismo non è un sogno, ma consiste nella realtà del tempo che stiamo vivendo e che ha radici negli interessi economici più che nel fascino degli scambi culturali. Le culture opposte non possono essere spazzate via solo sulla base dei confini nazionali. Si tratta piuttosto di trovare i giusti incastri, a partire da una visione aperta e positiva». È la convinzione di Simona Solvi, presidente di Fiorenzuola Oltre I Confini (FOIC). «Non esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B, si è tutti parte di una comunità allargata e – agendo nelle regole della società civile e della buona convivenza – è necessario il dialogo per costruire comunità coese, attente ai bisogni reciproci, capaci di accogliere le diversità e valorizzarle», insiste la dottoressa Solvi, eletta al vertice dell’associazione lo scorso giugno.
Di cosa vi occupate?
«Costituita poco più di vent’anni fa grazie alla lungimirante azione di Sandro Loschi e Luigi Danesi che furono tra i primi a portare aiuti in Bosnia nel 1994 in un territorio stremato dalla guerra, Fiorenzuola Oltre I Confini negli anni ha saputo costruire una rete attiva nell’ambito della cooperazione decentrata, della solidarietà internazionale e dell’immigrazione, grazie al generoso impegno di diversi volontari che si sono alternati nel corso degli anni. La nostra società non si stupisce più degli orrori dei conflitti, mostra segni di insofferenza e diffidenza verso ciò che è straniero e diverso, è dominata dall’instabilità e dall’incertezza sia economica che sociale. Noi volontari affrontiamo queste sfide sociali, per una società informata e consapevole, generosa e accogliente, premurosa e attenta ai bisogni delle comunità che si arricchiscono di culture e competenze».
Come dovrebbe avvenire realmente l’integrazione?
«Porto l’esempio di diverse attività che realizziamo con FOIC: i laboratori di intercultura per i ragazzi delle scuole di secondo grado di Fiorenzuola, la Festa Multietnica e altre iniziative di sensibilizzazione verso la multiculturalità contribuiscono a creare un clima di maggiore consapevolezza e apertura della nostra società».
Come può contribuire a questo processo un’amministrazione comunale?
«Le amministrazioni hanno o dovrebbero avere il vantaggio di agire nel nome di tutti i cittadini, di esserne rappresentanza legittimata e qualificata a porsi per prime in atteggiamento di ascolto e dialogo delle esigenze delle comunità che rappresentano. Il confronto con chi opera sul territorio – siano esse associazioni, imprese, movimenti – è un primo passo fondamentale per la definizione dell’offerta di un territorio e la creazione di comunità partecipate. FOIC da diversi anni ha attivi sul territorio piacentino gli sportelli per il supporto burocratico e amministrativo agli immigrati, segno della dovuta attenzione alle emergenze del nostro tempo. Gli sportelli svolgono funzioni che, in loro assenza, dovrebbero essere svolte dalle amministrazioni comunali. Sono un supporto e un aiuto per le comunità, valorizzarle e sostenerle è un atto di responsabilità».
A proposito di Ius Soli: l’assegnazione della cittadinanza per il solo fatto di nascere in un Paese rischia di essere un azzardo a discapito dell’iter di integrazione?
«Nascere e crescere in un Paese, impararne lingua, cultura e atteggiamenti crediamo sia esattamente l’iter complesso e necessario di integrazione nel mondo che si chiama vita. Viceversa, che senso avrebbe per un bambino nato nel nostro Paese acquisire la cittadinanza dei genitori, senza avere alcun altro tipo di legame con quel Paese?».
Rafforzamento dell’unità nazionale e multiculturalismo possono coesistere?
«Non credo sia una gara a chi fa la voce più grossa. Le unità nazionali sono in profonda crisi. Più che di unità nazionale sarebbe bello parlare di cultura e tradizioni, non per imporle ma per ricordare le proprie radici, far propria una storia che – nel caso di quella italiana – è fatta anche di migrazioni, di divisioni, di povertà e di crescita. La cultura dovrebbe insegnarci a non giudicare gli altri ma ad avere maggiore consapevolezza nelle scelte del presente. Più che ai nostri confini, in FOIC ci impegniamo a guardare oltre, aiutando gli altri Paesi in difficoltà perché ci piace credere di riuscire a fare la differenza nei loro territori, dove si gioca la vera sfida. Il supporto scolastico ai ragazzi della Mosop School in Kenya ribadisce l’importanza del sostegno allo sviluppo locale e all’istruzione come chiave per cambiare il destino dei propri Paesi».
Esistono culture con le quali è più difficile dialogare?
«Innanzitutto chiediamoci se ha ancora senso parlare di società occidentale. Quantomeno non ha più senso parlarne come se ci fosse una società giusta e una sbagliata. Ci sono popoli che si sono sviluppati in epoche e con velocità diverse, quindi ha più senso confrontare i percorsi e gli sviluppi differenziali piuttosto che i risultati in un determinato istante, altrimenti si rischia di appiattire il giudizio senza tenere conto dei contesti e delle interazioni che li influenzano. Il confronto con altre culture non è facile o difficile, richiede semplicemente più impegno. Richiede il liberarsi dai pregiudizi -tra cui quello della società occidentale buona e giusta – e adottare la tecnica dell’ascolto».
Da cosa scaturisce il razzismo?
«Il razzismo è soprattutto frutto della paura per il cambiamento. L’incontro con una diversa cultura automaticamente genera paura della diversità e paura di dover in qualche modo cambiare il proprio status quo. È irrazionale e spesso non ha un riscontro nella realtà. La provincia piacentina non è immune a episodi razzisti che generalmente si autoalimentano, perché le emozioni – tra cui le paure – si diffondono rapidamente. Allo stesso modo, le associazioni come la nostra lavorano per diffondere in modo altrettanto contagioso la positività e la bellezza che c’è nell’incontro tra culture diverse».
Thomas Trenchi