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curiosità

Il violinista di via XX Settembre, un’icona misteriosa degli anni Ottanta

Chi era il violinista di via XX Settembre a Piacenza? Il giornalista Enzo Latronico traccia un ritratto di quel suonatore con una «dignità fuori dal comune» attivo negli anni Ottanta. Foto di Paolo Bellardo (Piacenza in bianco e nero, ed. TEP, 1989)

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Ricordo ancora quando lessi sul quotidiano Libertà la notizia che gli avevano spaccato il violino perché secondo qualcuno risultava molesto. Ci rimasi davvero male, non faceva male a nessuno e aveva una dignità fuori dal comune. Lo ricordo così, fermo come una statua in via XX Settembre, muoveva solo il braccio destro con in mano l’archetto che faceva scivolare sulle corde del suo violino. Non so come si chiamasse né da dove venisse, so soltanto che tutti i giorni, d’inverno e d’estate, era là, in via XX e avevo come l’impressione che fosse lui a reggere quella strada, se fosse scomparso lui sarebbe scomparsa anche la strada.

Era il 1988, diciasettenni facevamo le cosiddette “vasche” in centro, avanti e indietro per tre o quattro volte lungo via XX e il corso (corso Vittorio Emanuele II, semplicemente il corso) nella speranza di vedere ragazze e fare incontri, amicizia, attaccare anche un po’ briga con altri gruppetti, insomma, fare un po’ i “giustoni” ma in fondo, stringendo stringendo, eravamo solo una banda di sfigati. Dentro a tutto questo, tra negozi, gente che andava e gente che veniva, c’era lui, fermo, impassibile, piccolo e magro, rifilato come un bastone secco ma elegante, giacca e cravatta, a volte papillon, tutto in stile anni ’70 come a significare che l’abito completo per lui era stato normale ma anche un qualcosa che andava oltre, una sorta di rispetto verso il suo pubblico involontario e verso la musica che con “fredda” passione esternava tramite il suo violino un po’ scasso.

Il servizio militare era dietro l’angolo, alcuni giravano ancora con l’autoradio sotto al braccio, altri, quelli che si stavano evolvendo, solo col frontalino dell’autoradio, il telefono cellulare era solo un embrione, lo smartphone questo sconosciuto. 

Dire che suonasse bene sarebbe un po’ come mentire solo perché non c’è più, non posso nemmeno dire che si arrangiava, in realtà suonava davvero male, tirava su quel violino come uno studente a cui avevano messo in mano lo strumento per la prima volta, le corde urlavano e lui sempre lì, sempre fermo, a spingere con quell’archetto esausto su melodie che non si riconoscevano nemmeno più, e più continuava e più sembrava uscito da una canzone di Enzo Jannacci. Arrivati a questo punto non importava più il suono del violino, o meglio, per chi lo aveva tutto il giorno davanti al negozio magari sì, però era talmente personaggio che il resto era superfluo, suscitava tenerezza ma al tempo stesso aveva un “non” sguardo che lo estraniava da tutto come se avesse avuto un’aura misteriosa che in qualche modo lo proteggeva dagli sguardi e dai giudizi degli altri, alla fine era talmente corazzato che in quella faccia scolpita nel legno notai solo una certa somiglianza con l’attore britannico Peter Cushing. Lo prendevano in giro? Sguardi divertiti, altri infastiditi, risatine, fate un po’ voi…

Ecco, io me lo ricordo così, niente di più, niente di meno, e oggi che sono stato chiamato a ricordarlo sono sempre più convinto che venisse fatto scendere a terra dalla Morte Nera di Darth Vader direttamente in via XX alla mattina e recuperato alla sera. Sì, secondo me il violinista di via XX era davvero Peter Cushing.

Enzo Latronico

Giornalista e scrittore. Si occupa di cinema scrivendo per riviste di settore e ha scritto diversi libri tra cui "Ugo Pirro. Indagine su uno sceneggiatore al di sopra di ogni sospetto" (ed. Le Piccole pagine) e "La settima arte della seduzione" (ed. Damster).