testimonianze
“Il Cassettone” di Manuela Cornelli – Gli sguardi inquisitori diventano fonte di forza
Agli inizi del Duemila, Manuela Cornelli partecipa a un concorso letterario sull’apparenza. In quel periodo sta convivendo con una creatura scomoda: l’anoressia, che diventa protagonista dei suoi testi autobiografici. Oggi, dopo dieci anni di lotta, n’è uscita alla grande e ha accettato di condividere le riflessioni di diciassette anni fa con i lettori di Sportello Quotidiano.

“A me ripugna parlare. Qualunque cosa io dica è falsa secondo il mio intendimento. Il parlare toglie a tutto ciò che dico la serietà e l’importanza”. Franz Kafka. Ecco un pensiero, uno dei tanti, che qualcun altro ha concretizzato al mio posto. Mi imbatto quotidianamente in concetti che si accavallano morbosamente nella mia mente, ma che non hanno mai trovato le parole per esprimersi. Tutto questo non sempre mi fa piacere. Certamente trovo piacevole e rassicurante sapere che altri hanno o hanno avuto gli stessi miei contorti pensieri. Il brutto invece è rendersi conto dei propri limiti. Come posso non essere in grado di ordinare e allineare le mie paranoie? Perché aver paura di vedersi l’anima riflessa sulla pagina? Qualche vaga idea sulla provenienza delle mie difficoltà, a dire il vero, ce l’ho. Ma ora è tempo di mettermi al lavoro, ho miliardi di cose da dire e poche pagine per esprimerlo al meglio… Manca troppo poco. Il tempo mi è sfuggito letteralmente dalle mani insieme alla percezione della mia condizione.
Sono un po’ persa in questo grande calderone che comunemente si chiama mondo. Tutti corrono, si affannano, raggiungono mete e migliorano la loro vita. Io me ne sto in un angolo tranquillo, esente da ogni tipo di coinvolgimento umano. Lo stretto necessario per poter, paradossalmente, essere lasciata in pace nel mio mondo. Ne ho creato uno appositamente per la mia follia; qui è tutto di una logica inquietante quanto mortale. Io non mangio come gli altri, io bruco; non vado a letto ad un orario normale, alle 18.30 le mie membra devono toccare il materasso e devo leggere, leggere e poi morire finalmente nell’oblio che le gocce mi procurano. Mi sono sempre stupita, per non dire incazzata, del mattino che ogni volta giunge a spezzare il mio Nulla; e tutto, per forza, deve ricominciare.
Ma quanto è dura a 37 kg, quando vorresti fuggire da tutto e da tutti, dai loro sguardi inquisitori che, per una strana alchimia, diventano fonte di forza. La forza per poter essere ancora più scheletrica ed anormale. Fuggire, appunto, dalla normalità per crearne una solo ed esclusivamente per me. Ci sono riuscita molto bene. Il mio mondo è qui, lo posso toccare ogni giorno e mi ci posso riparare dopo ogni attimo di smarrimento. Lavoro fuori, vado alle visite mediche solo perché so che potrò trovare la pace nel mio angolino. Peccato che questo angolino abbia occupato tutto e ben poco mi rimane da donare agli altri. Ho bisogno di tutto, tutto ciò che è superfluo ma che diviene essenziale, vitale. Il resto non mi sfiora. Io volo leggera sopra le loro teste, non intacco la mia purezza con gli obbrobri di una società annientatrice.
Non c’è pace per chi, come me, è nata con l’ombra della sfortuna aleggiante sulle spalle. Cerco di ricordare, di trovare un nesso; e quando mi rendo conto che hanno sbagliato loro, sprofondo in un oscuro vortice di impotenza. Cos’è accaduto? Quando, esattamente, le mie risorse si sono esaurite e mi hanno condannato a questo inferno terreno? In che momento la Manu mi ha abbandonato e ha lasciato posto ad una torrida e folle ragazzina? La sorte è stata ingiusta con me. Non è vittimismo ma puro realismo. Non posso ritornare alla normalità, non ne sono più in grado e ne ho tremendamente paura. Ma ora il racconto vuole essere scritto e io non posso far altro che assecondarlo.
IL CASSETTONE
Entrando nell’accogliente casa della mia più cara amica, proprio là sulla parete destra, spicca un massiccio quanto antico cassettone in legno. Sicuro di sé, nella sua sontuosa grandezza, infonde agli ospiti entranti uno strano senso di mistero e pregio. Chissà quante curiosità, quanti gingilli di paesi lontani, quante stoffe preziose e ingiallite dallo scorrere degli anni! Eppure ecco, sta per mostrare il suo contenuto a noi comuni mortali. Appoggio le mani su quei pomelli in legno massiccio, pronta ad usare una forza delicata, quasi riverente, per far scorrere questi cassetti. No, non scorrono proprio, il loro andamento è secco e per un attimo ho il timore di fargli male. Riesco tuttavia; cosa vedono i miei occhi? Carta igienica, pellicola Cuki, alluminio doppia forza, sacchetti per congelare, fazzoletti Kleenex e i mitici immancabili assorbenti con le ali per la notte e tampax. No, non sono sconvolta. Mi vien da ridere e nella mia mente prende forma un confronto simbolico: noi esseri umani, che ce ne andiamo in giro belli pettinati e profumati, siamo destinati ad essere a tutti i costi belli e rassicuranti per poi contenere solo carta da culo?!
