salute
Mara Negrati: «Dieci ragazze su cento soffrono di disturbi alimentari»
Dieci ragazze su cento soffrono di disturbi alimentari. Fate voi i conti e vi accorgerete di quanto il fenomeno sia diffuso. In Italia, come a Piacenza. La bulimia e l’anoressia, spesso, sono dietro l’angolo di queste disfunzioni, scatenate da molteplici fattori. Tanto che, solo all’ospedale cittadino, sono circa 100-115 le ragazze che ogni anno si rivolgono alle cure degli specialisti.
Per conoscere meglio questa malattia, che a volte è paragonata a un vezzo o a una mania, abbiamo intervistato Mara Negrati, già responsabile del reparto di Nutrizione dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto.
Professoressa, intanto chiariamo di cosa stiamo parlando. Che cosa sono bulimia e anoressia?
«Un disturbo del comportamento alimentare, in generale. E rappresentano un modo nuovo di esprimere un disagio della mente che poi ricade sul corpo che viene maltrattato, come nell’anoressia nervosa e meno evidente nella bulimia nervosa. In quest’ultimo caso mantengono un peso normale, ma con meccanismi di compensazione tipo abbuffate compulsive. Assumono quantità di cibo in poco tempo. Poi, siccome emerge un senso di colpa, vengono messi in atto meccanismi come il vomito, l’assunzione di diuretici o una attività fisica frenetica. I sintomi vengono visti con vergogna e quindi le pazienti bulimiche nascondono per molto tempo il problema. La mamma si accorge che la ragazza, dopo mangiato, va in bagno e quindi scopre tracce di vomito o compresse. Nelle anoressiche, invece, c’è una restrizione dell’assunzione di alimenti progressiva. La bulimica comincia con una dieta e poi avendo fame si abbuffa. L’anoressica restringe l’apporto di nutrienti, quindi poco alla volta perde peso fino ad essere inferiore alla media. Trova scuse per non mangiare e a tavola spezzetta il cibo in tanti piccoli pezzi, tendendo a eliminare quasi tutto. Per arrivare a mangiare solo frutta e verdura, persino solo una mela al giorno. In questo stadio cambia il carattere e la vita sociale è annullata».
A cosa si deve questo disturbo?
«Ci sono dei fattori predisponenti, come il fatto di essere femmine e adolescenti. Purtroppo sono fattori di rischio generali. Con un rapporto verso il sesso maschile di 1 a 10. Poi entrano in gioco dei fattori di natura psico-sociale, come le persone vulnerabili e forse geneticamente predisposte. Possiamo dire che avere una bassissima autostima è un fattore di rischio. Oppure il perfezionismo esasperato, quando tutto deve essere fatto al meglio. Ma anche disturbi di tipo psichiatrico, come la depressione o dei problemi relazionali in famiglia».
La famiglia che ruolo gioca in tutto questo?
«Potrebbero trascurare i propri figli, presi dal lavoro, oppure proteggerli troppo. Questo provoca in questi ragazzi un’autonomia scarsa e una pessima fiducia in se stessi. In generale le famiglie non devono essere colpevolizzate, visto che è stato analizzato che vivono esse stesse in stato di stress per mesi. Sono molto provate. Quindi nelle terapie vengono coinvolte le famiglie, che saranno d’aiuto. In più può subentrare un fattore scatenante, come un lutto in famiglia, un brutto voto a scuola, ma sono numerosi. C’è poi il mito della magrezza, che dagli anni ’60 e ’70 si è diffuso e ha contribuito. Non è la causa del disturbo alimentare, ma questa pressione sociale suggerisce la forma attraverso la quale si manifesta il malessere provato da queste persone. In più si aggiungono i siti web, che propongono soluzioni per dimagrire assurde».
Che influenza hanno questi siti?
«Noi li controlliamo, per verificare quello che accade. E parlando con le ragazze, con cui si instaura un bel rapporto, abbiamo scoperto che viene consigliato, se hai fame, di bere tanta acqua, poi di aspettare 5 minuti e ricominciare a bere. Di resistere finché lo stomaco è pienamente dilatato. Oppure a colazione di bere solo un caffè e saltare il pranzo. E ancora, di masticare a lungo i bocconi, bevendo, per gonfiarsi. In alcuni stati europei certi siti vengono chiusi e ci sono restrizioni. Si aggiunge l’industria della dieta, che per dimagrire velocemente e senza fatica attira le ragazze in soluzioni semplicistiche. E molte ragazze, iniziando così, poi arrivano a condizioni più problematiche. Ma di solito, per i casi gravi, c’è sempre alla base un disagio della mente».
Che conseguenze ha la disinformazione?
«Che le persone credono siano capricci. Non lo sono. Si tratta di gravi malattie. I disagi che i ragazzi provano è molto profondo, si sentono sempre fuori luogo. Una sensazione di non riuscire a rispondere alle aspettative, che spesso si sono posti loro stessi. Si sentono giudicati per l’aspetto fisico, che non corrisponde ai canoni di bellezza, quindi rispondono aggredendo il proprio corpo con condotte alimentari alterate. Avendo una visione distorta del proprio corpo non sono mai magri abbastanza».
Come si aiutano queste persone?
«Innanzitutto la ragazza è spesso accompagnata dai genitori, perché non cerca mai una cura autonomamente. Sono pazienti che non la vogliono. Arrivano di malavoglia. Poi il trattamento è interdisciplinare, cioè la malattia interessa corpo e mente e dobbiamo farlo contemporaneamente. Io mi sono sempre occupata del corpo, mentre i colleghi della psichiatria coordinati dal dottor Limonta nell’azienda Usl di Piacenza trattano sulla pische. Per prima cosa dobbiamo vedere che non ci sia un problema organico. Che la magrezza derivi da una malattia. Quindi facciamo tutti gli esami. Poi si inizia con un trattamento multidisciplinare, insieme allo psicologo, per cercare di ottenere un recupero del peso con equilibrio dei vari cibi e ripristinare la corretta alimentazione. Non è facile, può richiedere mesi e in alcuni casi qualche anno. Non è una polmonite, ma una malattia grave, ci tengo a ribadirlo. E’ la seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali. Non bisogno far passare molto tempo prima di intervenire, anche se spesso non succede, a causa di ritardi a livello culturale. Permane una vergogna, persino nei familiari, nell’intervento. Importante, poi, è che i medici di famiglia siano preparati per segnalare tempestivamente al paziente e ai genitori eventuali sintomi di anoressia. Un intervento precoce riduce la cronicizzazione».
Avete dei numeri sulla provincia di Piacenza?
«Su 100 adolescenti circa 10 hanno un disturbo del comportamento alimentare. Le ragazze che si rivolgono per la cura all’ospedale di Piacenza sono circa 100-115 nuovi accessi all’anno. Non solo casi gravi, di anoressia o bulimia, ma anche altri disturbi come la mania del cibo sano. Non la quantità ma la qualità degli alimenti. Cioè non riescono mai a mangiare con gli altri, a volte non escono perché non sicure di quello che mangeranno fuori».
Se potesse rivolgersi alle persone che non si sono ancora affidate all’aiuto di un medico, cosa si sentirebbe di dirgli?
«Di non avere timori a rivolgersi a un consulto medico. Ma soprattutto insegnare ai loro figli ad accettare le sconfitte. Il papà e la mamma non devono solo essere amici, ma autorevoli. Non autoritari. Autorevoli. Il genitore deve essere riconosciuto dal figlio nel suo ruolo guida. Un genitore deve dare fiducia e imporre dei limiti che devono essere rispettati e non dire mai no è più pericoloso che dire sempre sì. E anche l’indipendenza è fondamentale. Bisogna insegnarla ai figli, affinché possano vivere la propria vita in serenità credendo di più in se stessi».
Un libro o un film che si sente di consigliare?
«In particolare una pellicola che avevamo proiettato al cinema Daturi, che si intitola “Ciò che mi nutre mi distrugge”. Una storia di tre ragazzi che seguono un percorso terapeuti insieme ai genitori e fa ben capire come si può uscire da situazioni del genere».
Gianmarco Aimi