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“Le mie camicie di flanella” di Manuela Cornelli – La diversità esclusa dalla recita quotidiana

Agli inizi del Duemila, Manuela Cornelli partecipa a un concorso letterario sull’apparenza. In quel periodo sta convivendo con una creatura scomoda: l’anoressia, che diventa protagonista dei suoi testi autobiografici. Oggi, dopo dieci anni di lotta, n’è uscita alla grande e ha accettato di condividere le riflessioni di diciassette anni fa con i lettori di Sportello Quotidiano.

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LE MIE CAMICIE DI FLANELLA 

I miei vestiti sono un insieme di mode, stili e non mode che da svariati anni svolgono al meglio la loro funzione basilare: vestire con comodità. Possiedo e uso (veramente ogni giorno) una vasta serie di camicie a quadri flanellate comprate nel lontano 1992, quando divenni una rockettara seguace fanatica dei Guns N’ Roses. Quelle camicie, allora, erano considerate da contadino e la cosa mi esaltava. Poi arrivò la serie Tv “Beverly Hills” portando con sé mode molto grunge, cosicché anch’esse caddero nel tunnel della moda. Ma evidentemente la mia anima non era poi così ribelle e controcorrente come volevo fa credere e continuai ad indossarle finché ricaddero nell’oblio.

Oggi, nell’estate del 2000, loro sono ancora con me. Con il passare del tempo e soprattutto delle fasi salienti dell’adolescenza ho sempre dato meno importanza al modo di abbigliarsi; se prima indossare una maglietta dei Megadeth al tal concerto significava far sapere al mondo che io c’ero, che ero una vera metallara, oggi posso indistintamente mettere una maglia dei Sepultura per andare a lavorare come una di Topolino per fare una vasca in centro. Non sono i miei gusti musicali ad essere cambiati, è il valore che dò ad essi.

Il vestirsi ritorna ad avere il suo scopo primario che è appunto vestire. I miei criteri d’ acquisto sono decisamente mutati; se prima l’ordine di caratteristiche che mentalmente doveva avere un capo d’abbigliamento era: 1° stravaganza, 2° gusto personale, 3° prezzo, 4° comodità, 5° reale necessità, ora si è rivoluzionato del tutto e al 1° posto si trova la reale necessità seguita a ruota dal prezzo, la comodità e per finire il gusto personale. Stop. Niente più stravaganze ostentate. Ciò che vuol essere alternativo ad ogni costo mi irrita. Forse mi sbaglio ma ho l’impressione che in giro circolino molte persone che potrebbero benissimo essere esposti in vetrina al posto dei manichini. Chissà se si sentono davvero a loro agio!

Ripensando al mio passato e riflettendo sul presente (quello che vivo e quello che vedo) mi chiedo: a che scopo essere “o alternativi o all’ ultima moda”? A prescindere dal fatto che le due cose sono in simbiosi e che quindi per essere alla moda bisogna “alternativizzarsi” e viceversa, cosa diavolo ne ricevo di così gratificante in cambio? Ho appurato che esistono due principali idee di diverso; una è il diverso ricercato ed accettato, l’altra è il diverso denigrato ed emarginato. E tutto, purtroppo, basato sull’impressione visiva. Esemplifico. Se una ragazza si veste con colori mega sgargianti, assurdi e obiettivamente orribili magari dipingendosi le unghie ognuna di una tonalità diversa è effettivamente “strana”. Esiste però un margine che delimita i vari tipi di stranezza e in questi margini la ragazza in questione rientra alla perfezione. Allora tutto è ok, è anzi una marcia in più che può premiare.

Se invece la ragazza che incontri in pieno agosto ha i guanti e la camicia di flanella, le cose si complicano. Ora la diversità è fonte di derisione ed eventuale motivo di esclusione. Non può far parte della grande recita quotidiana, la sua stranezza ha oltrepassato, rotto quel margine tacito. Il punto è: perché affannarsi tanto per apparire in un modo che possa essere accettato da una società che, in alternativa, ti offre il rifiuto? Perché soffocare le nostre vere inclinazioni o perdere il senso della necessità intesa come reale bisogno? Per quale motivo dovrei non indossare i guanti, che sono per me fondamentali da un punto di vista puramente funzionale, sentendomi magari a disagio nei miei movimenti a costo di non sentire stupidi commenti superficiali? Se portare i guanti mi fa star meglio con me stessa e con gli altri, perché star male solo per assecondare una massa? Non ha senso. Ma c’è qualcosa che ne abbia? Probabilmente sì e sta a me scovarlo.

Manuela Cornelli

«Affrontai gli ultimi due anni di scuola superiore in piena anoressia. Nel 1998, durante l’esame di maturità, pesavo trentacinque chili. Mangiare solo una mela al giorno, rifiutando il pranzo e la cena, mi conferiva il potere di modellare il mio aspetto e di assumere la mia forma. Cioè una non-forma». Con i lettori di Sportello Quotidiano, ha accettato di condividere i racconti autobiografici sull'apparenza scritti agli inizi del Duemila, durante la lotta con l'anoressia.