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Musica e cibo di strada, i segreti della formula vincente del Bleech Festival
L’estate è ancora un orizzonte lontano, ma c’è già chi si prepara alla sua «fine ideale». Sono i ragazzi e le ragazze dell’associazione Propaganda 1984, al lavoro per inaugurare la quarta edizione del Bleech Festival, una manifestazione ben collaudata di musica indipendente, street food, escursioni, cucina e laboratori di ogni genere. Dal 2015 ad oggi, ha registrato una media in forte crescita di 11mila visitatori.
«Si terrà dal 31 agosto al 2 settembre. Bleech Festival nasce dall’unione di diverse realtà che hanno intravisto un’occasione per portare in città il meglio della musica italiana indipendente», delucida Riccardo Covelli, co-fondatore e tuttofare di Propaganda 1984. «Crediamo di poter coinvolgere anche tutti quei curiosi che non vanno spesso ai concerti, o che non comprano un disco da anni, portando gli spettacoli sotto il naso di tutti, in pieno centro storico».
Il Festival è stato inserito tra le undici proposte vincenti del bando comunale “Giovani Progetti”, riscuotendo un contributo di 3mila euro. «Questa graduatoria è una grossa opportunità, specialmente per le realtà in fase di avviamento o a basso costo, ma penso che raggiunga ancora troppe poche orecchie. Se già di per sé la parola “bando” dà l’idea di un procedimento burocratico complesso – e abitualmente è così -, è anche vero che le comunicazioni istituzionali hanno un’impostazione che spaventa e repelle chi si avvicina per la prima volta. Andrebbero migliorati i canali di diffusione, con un vero investimento sui social media e sulla creazione di una newsletter virtuale per giovani», propone Covelli.
Quali sono le principali difficoltà organizzative del Bleech Festival?
«Superati il primo e il secondo anno, rispettivamente di lancio e di rodaggio, posso dirti che ad oggi i grossi ostacoli sono i finanziamenti e il riconoscimento dell’importanza del programma. Circa il settantacinque percento dell’evento è autofinanziato. Senza l’appoggio di grandi sponsor e di cifre importanti da parte delle istituzioni, un festival come il nostro, a ingresso gratuito, sfocerebbe nell’insostenibilità. Abbiamo mosso 14mila persone nell’ultima edizione, attirando pubblico, attenzione, magazine musicali e curiosi da tutto il Nord, ma le spese crescono. Il contributo del Comune è sicuramente un aiuto, ma non basta affatto. E ciò ci porta all’altro problema: l’appoggio da parte di un’istituzione è urgente. Bleech è ormai un marchio per tutta una fetta di popolazione che vede nella Cavallerizza un parco concerti per tre giorni di settembre. Abbiamo una rassegna stampa invidiabile, con menzioni e articoli da ogni parte d’Italia, l’inserimento in numerose “Guide ai Festival Estivi Italiani”, una crescita esponenziale, solo la terza edizione ha visto salire sul palco sei Dischi d’Oro 2017».
Perché c’è bisogno di questa tre giorni in città?
«Bleech per noi è la fine ideale dell’estate, per sentire tutti gli artisti che stanno smantellando il concetto di mainstream, portando la musica indipendente a un gradino più alto. Oltre a questo è un grande banchetto gastronomico, aperto agli appassionati di street food e alle famiglie che vogliono passare un momento conviviale e sereno nella cornice urbana del Parco della Cavallerizza».
Come si può considerare oltre a un festival?
«Per noi è un pezzo di cuore, una famiglia meravigliosa composta da oltre quaranta volontari che aiutano il Festival a migliorare, tra sudore e soddisfazioni. Mentirei se ti dicessi che è solo un evento. In una città in cui manca da anni un vero live club, io voglio leggerlo come sottolineare l’impellenza di una casa per la musica cittadina. Ma anche come motore culturale che sia di stimolo a tutti coloro che vogliano mettere in piedi la propria idea».
Un po’ di tempo fa su Sportello Quotidiano hai espresso il sogno di «far diventare Piacenza come Barcellona». In tanti hanno criticato la frase, magari senza nemmeno leggere l’articolo. Alberto Gromi è intervenuto in tua difesa su Facebook: “Un giovane che sogna, che fa progetti, che si dà da fare (come ha già fatto) merita solo attenzione, considerazione, incoraggiamento. Sono stanco di questa becera abitudine piacentina di stroncare tutto senza fare niente. Cominciate, cari censori, ad alzare le chiappe dalla sedia e vediamo che cosa sapete fare”. Piacenza è una città ostile nei confronti delle nuove leve?
«No, non lo credo. Ma perchè con me non lo è stata. E così per tanti. È una città che concede spazio vitale a chi vuole essere in grado di ritagliarselo. Ma penso anche che sia una città dove ci si ritrova chiusi in piccole campane di vetro. Non dobbiamo svecchiarla, ma renderla più spontanea, sincera e partecipata, vivendola e costruendola giorno per giorno come singoli individui. Uscire dalle comfort zone e mettersi in discussione, specialmente a livello culturale: è un passo grande ma necessario».
Thomas Trenchi