testimonianze
“Che scempio le mode e i pregiudizi” di Manuela Cornelli
Agli inizi del Duemila, Manuela Cornelli partecipa a un concorso letterario sull’apparenza. In quel periodo sta convivendo con una creatura scomoda: l’anoressia, che diventa protagonista dei suoi testi autobiografici. Oggi, dopo dieci anni di lotta, n’è uscita alla grande e ha accettato di condividere le riflessioni di diciassette anni fa con i lettori di Sportello Quotidiano.
CHE SCEMPIO LE MODE E I PREGIUDIZI
Ops, sono già le 6.40 e tutto è pronto o quasi. I biscotti devono cuocere ancora due minuti. Il caffè ha già sprigionato il suo aroma e io ne ho già approfittato quattro volte. Forse è per questo che non dormo? Boh, ora suona il timer e vado a controllare le cotture, a domani mattina (o notte?).
Quante belle mascherine ho visto anche oggi! Carnevale? No, siamo in settembre. Ma io le ho viste, eccome; ne indossavo una anch’io. Una delle tante. Mi sveglio di buon ora e scelgo quale indossare. Quella sorridente? Opportunista? Accattivante? Provocatoria? Indifferente? No, oggi è meglio prender su quella “comprensiva disponibile”. Cacchio, non la trovo. Devo andarla a comprare… anzi me la faccio prestare dalla mia amica Cippa, ne ha così tante!
Le telefono. “Pronto, Cippa? Ciao sono la Manu. Senti, non è che mi puoi prestare un po’ di comprensione e disponibilità verso gli altri? Ah, ho capito, oggi ti serve perché devi parlare con quella ragazza molto fortunata che stravede per te ma che tu odi perché si è costruita un solido e invidiabile futuro? Ok, grazie lo stesso, sarà per la prossima volta. Ciao”. Uffa, come mai non ne ha una di scorta? Va bè , vorrà dire che metterò in borsetta tutta la collezione e le sfodererò di volta in volta.
È ricominciata la scuola. Oddìo quante grida, parole, sussurri e risate si riversano sulle strade. Ne sento l’eco da qui, nella sala d’aspetto della mia psicologa. Proprio non ci voleva. L’estate è troppo calda e troppo luminosa per me ma ha di buono che le strade si svuotano e mi lasciano lo spazio per respirare. Adesso, ovunque, ci sono centinaia di alunni tutti uguali che intralciano il mio cammino. Sono costretta a percorrere le strade meno affollate per non incrociare quelle vite troppo accese, rumorose. E intanto mi tocca fare trecento chilometri in più per raggiungere la mia meta. Amo il silenzio e la solitudine, odio le parole inutili soprattutto se urlate. E ora come ne esco indenne dalla stagione scolastica? Quando ne facevo parte era la stessa orribile sensazione.
Dalla terza superiore in poi avrei voluto essere in classe da sola, evitare ogni tipo di assemblea, quelle in cui ti ritrovi a fare un casino tremendo, in cui puoi essere interpellato dai tuoi compagni, in cui si mette in gioco una parte un po’ più intima del solito. Io me ne stavo a studiare o andavo a fumare nel cesso per tutta la durata della caotica e dispersiva riunione, tornando in classe solo quando “non erano più pericolosi”. Molte volte, però, ho sbagliato i tempi e considerato male le circostanze, divenendo vittima di stupide quanto imbarazzanti domande sulla mia alimentazione, sul mio peso, sui miei piatti preferiti (non hanno capito che per me non esiste piatto preferito da anni?). Una tortura.
All’inizio mi chiedevano come mai fossi così dimagrita e che fine avessero fatto le mie tette, insomma le domande/battute che solo loro sanno fare. Il tatto di questi bei ragazzoni ha sfiorato limiti inverosimili. Una volta mi sono sentita chiedere (in terza persona): “Ma come si può fare sesso con la Cornelli, devi stare attento a non spaccarla e a non pungerti con le sue ossa sporgenti!”. Non era un pettegolezzo segreto, io ero lì e la battuta voleva essere una delle tante, del tipo “la Cornelli ha i capelli così lunghi che ci si pulisce il culo”. Così, con naturale ironia studentesca … non so se capite. Avrei dovuto ridere con loro e l’ho fatto, ho rispettato il copione. Perché cercare di spiegare loro cosa significano le mie ossa pungenti?Troppe cose da capire, impossibili poi per chi non conosce il problema. Poi finalmente la scuola è finita e mi sono detta “ora posso smettere di recitare, non devo più giustificarmi con nessuno, esco di scena”. Ma non è andata esattamente come mi aspettavo.
La scena e la coreografia sono cambiate, ma in realtà sono rimasta in questo grande teatro senza possibilità di uscita. Inutile allontanare tutti e tutto, inutile non rispondere al telefono, ridicolo far finta di essere impegnata in qualcosa di irrevocabile. Fino a che i tuoi piedi sono su questa terra ci sarà sempre una parte da recitare; volente o nolente dovrai fingere. È una legge tacita della società, non puoi evitarla; forse troverai un modo di attutirne la portata ma non riuscirai ad andartene definitivamente. In questo grande, subdolo teatro i posti si alternano tra palcoscenico e platea, in continuazione; ma non avrai mai un posto riservato in nessuno dei due. Ho abusato di simbolismo? Mi sa proprio di sì. Però ho reso o no l’idea?
Manuela Cornelli