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«Pedofili e violentatori non guariscono, ma possono imparare l’autocontrollo»
Il documentario pluripremiato “Un altro me” di Claudio Casazza approda a Piacenza, per portare gli spettatori dentro al carcere di Milano Bollate a fissare negli occhi stupratori e violentatori. Verrà proiettato giovedì 8 febbraio alle ore 21 al cinema Corso, in una serata organizzata dall’associazione Cipm Emilia (Centro Italiano per la Promozione della Mediazione), da anni attiva sul tema del trattamento degli autori di maltrattamenti e abusi contro donne e minori. Seguirà un dibattito con il regista e con i clinici protagonisti.
Sotto i riflettori di “Un altro me” ci sono i percorsi di gruppo che il Cipm, insieme a un’equipe di criminologi, educatori, psicodiagnosti e arteterapeuti, dispone per i sex offenders con l’obiettivo di abbattere la recidiva. Le telecamere hanno seguito per un intero anno gli incontri quotidiani tra carcerati e specialisti. La rivista Internazionale ha affrescato alla perfezione l’opera: “Non capita spesso di trovarsi così vicini a un tema come questo”. Il film di Casazza ha vinto il Premio del Pubblico al Festival dei Popoli ed è in concorso al Trieste Film Festival.
Anche lo psicoterapeuta piacentino Luca Bollati lavora nella task force del carcere di Milano: «Dividiamo circa venticinque detenuti in vari nuclei e cerchiamo di avviare un confronto che porti a ridurre la ripetizione del crimine da parte di chi ha già ricevuto in precedenza una condanna. La violenza sessuale s’origina da un sovraccarico di desiderio incontenibile: quando si supera l’asticella, si sfocia nell’atto criminoso. Bisogna imparare a controllare certi segnali di stress, fermandosi in tempo. Questi percorsi, ai quali i detenuti possono partecipare dopo una breve selezione con test e colloqui orali, stanno avendo efficacia. Per certi casi tuttavia il gruppo è inutile, per esempio con chi soffre di patologie psichiatriche conclamate. La Casa di Reclusione di Milano è pressoché l’unica in Italia ad intraprendere, per il dodicesimo anno consecutivo, iniziative di rieducazione in tal senso».
Nei sex offenders quali sentimenti pervadono? «Inizialmente emergono rigidità, assoluta minimizzazione e negazione del crimine, alcune volte così paradossalmente da risultare una ridicolaggine», spiega il dottor Bollati. «È difficilissimo ottenere dei “movimenti trasformativi” nell’immediato, perciò i percorsi durano almeno due anni, continuando anche fuori dalla prigione per chi ha scontato la pena». Quelli che nella sfera carceraria sono considerati gli “infami”, secondo lo psicoterapeuta «non possono guarire, ma apprendere a gestire gli istinti e a non tradurli in atti violenti. A un pedofilo, purtroppo, piaceranno i bambini per sempre. E un violentatore non smetterà di preferire il dominio sulla donna nelle relazioni. Il nostro trattamento punta a innescare l’autocontrollo di questi aspetti».