curiosità
Simone Morini: «Ho lasciato la scuola per dedicarmi al maialificio di famiglia»
In terza superiore mal che vada si hanno i calli sulle dita dovuti allo smartphone, o le mani sporche d’inchiostro per i pomeriggi passati sui libri. Il sedicenne Simone Morini è l’eccezione che conferma la regola: al mattino ha rinunciato ai solchi dello zaino sulle spalle, per far posto a un paio di stivali di gomma e tanta buona volontà. Da un po’ di tempo si dedica alla gestione del maialificio di famiglia, affiancando il padre Paolo, la madre Sonia e il fratello Mattia. Simone conosce alla perfezione i numeri dell’azienda: «La nostra scrofaia può contenere 150 animali. Produciamo e svezziamo 300 maiali al mese. Ogni anno mandiamo al macello 3.200 suini ingrassati».
Il maialificio Morini, situato in località Gerbido a San Giorgio Piacentino, si estende su circa 20 ettari di terreno, comprensivi di cantine, celle frigorifere, punto vendita e agriturismo aperto nel fine settimana. Circondato dalle carcasse appese a testa in giù, vengo condotto nei laboratori all’interno di una fattoria ristrutturata nel 2002.
«Buona parte della filiera è a chilometro zero: alleviamo i suini, li mandiamo al mattatoio a Bettola, e poi lavoriamo direttamente sulle mezzene, sezionandole e confezionandole. Prepariamo diversi tagli, sia di carne fresca che di salumi stagionati», spiega Paolo Morini, che ha ereditato il maialificio dal suo bisnonno. «Con i miei figli siamo alla quinta generazione. La nostra storia è cominciata a Fontevivo agli inizi del Novecento. Commerciamo le derrate anche oltre i confini piacentini». Paolo ha inventato il “Morinotto”, «un pezzo di fesa – cioè una parte della coscia – a metà strada tra il culatello e il prosciutto crudo. Ne esistono alcune varianti in Umbria, ma a livello locale siamo i soli a venderlo».
Su una parete del negozio è esposta l’ode al maiale: “Eppur tu solo fra glorie tante e vere/meriteresti d’esser fatto almeno cavalieri/Tu, e tu solo, rara delizia d’ogni palato/in un giardino bello e incantato/meriteresti un’ara, un cippo, un monumento/che onori in eterno il tuo portento”. Neanche a dirlo, il menù del ristorante è un tripudio suino: maialino allo spiedo, porchetta intera a volontà, nodino di maiale, tagliata di porco, costine e fusilli al tonno di maiale.
Riprende in mano le redini Simone, il figlio. «Mi occupo dell’azienda a tempo pieno, ho smesso di andare a scuola. Comincio alle otto di mattina e termino in tarda serata». Le mansioni sono variegate. Si occupa del mangime («somministriamo per lo più i cereali coltivati da noi»), della castrazione («che avviene in quattro secondi per non disturbare la bestia»), dello svezzamento e delle vaccinazioni. «Mi è capitato di affezionarmi e accudire maiali da cortile. Sono animali molto intelligenti e testardi, possono essere educati come i cani», ammette il giovane. «Scelgo personalmente quelli che sono pronti ad andare al macello, normalmente intorno al dodicesimo mese d’età. Effettuo la marcatura, un’operazione fondamentale che consiste nel tatuare l’orecchio del suino».
Un maiale di 292 chili protagonista su Facebook
Mi accompagna nella scrofaia, una stalla suddivisa in vari box da 15 unità ciascuno. Mi avverte che i verri potrebbero mettersi a urlare all’impazzata. E così effettivamente accade. Simone entra nel recinto e insegue un maiale enorme: «Ha registrato 292 chili sulla bilancia. Abbiamo indetto un concorso su Facebook per indovinare il peso esatto: ha vinto un utente di Rieti, aggiudicandosi un cesto gastronomico».
Proseguiamo a camminare nella sala parto, con cinquanta postazioni scaldate a luce infrarossi attive per tutto l’anno. «La gestazione dura 114 giorni. Le scrofe restano nella gabbia fino al ventottesimo giorno di vita del cucciolo», chiarisce Simone. Un grido d’aiuto interrompe il suo discorso: un maialino sta per morire schiacciato dalla zampa della mamma. Si precipita a salvarlo in extremis. «Lo schiacciamento, essendo una delle principali cause di decesso, rappresenta una grossa fonte di spreco. Lo scopo del recinto è immobilizzare le bestie affinché non vengano uccise durante i movimenti. In media, su 12 o 13 creature nate, ne muore almeno una».
«Consiglio ai giovani di riavvicinarsi alla campagna»
«Servono passione e tenacia, senza pensare al guadagno garantito. Il mio è quasi un dovere di famiglia. Negli ultimi due anni il settore è in ripresa. In futuro, però, non mi immagino nella scrofaia, ma nei campi coltivati», confessa Simone. «Consiglio ai coetanei di riavvicinarsi ai lavori di campagna, perché sono in grado di dare grandi soddisfazioni».
Alla fine del giro nel maialificio Morini, chiedo al padre di Simone che reazione avrebbe se suo figlio fosse vegano. Mi fissa spaventato. Alla stregua del senatore Gasparri seduto in un Cannabis Club. Con molta fatica, trova la forza per rispondere: «Non succederà mai».
Thomas Trenchi