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Stefano Torre: «La mia infanzia da ragazzino ribelle e incompreso»

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In molti mi chiedono la motivazione del mio silenzio assordante sulla pagina Facebook di Stefano Torre. La realtà è che ormai da quasi un mese non posto nulla, nemmeno i contenuti che avevo già programmato e preparato.

Talvolta capitano cose che lasciano senza parole. Succede di imbattersi in situazioni nella quali ci si riconosce come se si fosse davanti allo specchio. E riconoscersi significa indossare panni dismessi, magari da molto tempo, e risvegliare sensazioni tanto sopite da essere state dimenticate, ma che grazie all’effetto specchio tornano prepotenti.

Così mi è successo di imbattermi in un film di Bollywood dal titolo “Stelle sulla terra”, che mi ha lasciato senza fiato e che mi ha imposto una riflessione profonda su me stesso, provocandomi forme molteplici di immedesimazione che in gran parte stanno producendo un cambio di prospettiva nella valutazione del mio pensiero.

Il film narra in modo duro – dal mio punto di vista, almeno – la storia di un bambino dislessico, che si trova a combattere con una disabilità che nessuno attorno a lui capisce e che lo porta a trovarsi sempre più solo, vilipeso dai compagni, incompreso dai genitori e dagli insegnanti, incapace di comprendere cosa gli stia accadendo, fino ad auto-incolparsi. Si chiama Ishan, vive episodi che lo portano a uno stato d’animo di profonda frustrazione, a sensi di colpa fortissimi, all’abbandono e alla solitudine. Questa ascesa emotiva culmina in una scena drammaticamente evocativa: la contemplazione di un orrido strapiombo, come a volercisi buttare. Si verifica una svolta quando trova un insegnate d’arte diverso dagli altri, che comprende il suo problema e lo aiuta a uscirne. La fortuna di Inou (il nomignolo del bambino) è l’incontro con chi ha vissuto la sua stessa drammaticità sulla propria pelle. Nella maggior parte dei casi, però, il maestro non c’è, e il bambino combatte da solo contro il demone, con altissime probabilità di insuccesso.

Vi sono disabilità, come la dislessia e la distonia, che non affliggono le capacità cognitive, ma riguardano esclusivamente le modalità con le quali il cervello percepisce e trasmette certi stimoli. Così è per la capacità di interpretare la parola scritta nel caso della dislessia, così è per la capacità di trasmettere correttamente gli stimoli motori nel caso della distonia.

Io, come già molti di voi sanno, ho una grave forma di distonia che mi ha colpito da bambino e che pian piano è degenerata. Attualmente, non ho il controllo completo dei miei movimenti. La mia è un’esperienza a lieto fine, ben raccontata dal giornalista Thomas Trenchi e ripresa da molte testate nazionali ai tempi dell’epopea di Torre Sindaco. Ma, siccome i fantasmi sono dietro all’angolo, la visione di questo bellissimo film ha liberato alcuni spettri: ho visto riflessa in uno specchio la mia mente, completamente nuda.

Immaginatevi un bambino che è in grado di percepire perfettamente ogni cosa, di capire anche problematiche difficili, di memorizzare nomi, luoghi e di affrontare concetti complessi. Che tuttavia non riesce a compiere azioni elementari, che tutti invece riescono a fare tranquillamente. Nessuno, nemmeno vostra madre, capisce il vostro problema e lo scambia per indolenza, malavoglia o, come fu nel mio caso, per una sorta di ribellione nei confronti della famiglia e della scuola. Un po’ per volta i vostri risultati scolastici diventano disastrosi, e voi ve ne fate una colpa, giorno per giorno sempre più grande, fino a sentirvi completamente inadeguati. Reagite sfidando gli altri, non riuscite a superare il vostro problema, poiché non lo conoscete e non vi rendete conto di averlo. Volano ceffoni, richiami o ancor peggio sensi di colpa, soprattutto nei confronti dei genitori, il cui stato d’animo, vi lascio immaginare, non è sicuramente tra i più sereni, e le cui aspettative su di voi sono molto più alte di quanto possiate mai fare.

Poi, poco per volta (se si è fortunati come me), al ribelle subentra un vincitore, superando con un’immensa fatica quel gap che ci separa dagli altri, pur rimanendo menomati, pieni di un’immensa solitudine. Nel cervello scatta il meccanismo della dimenticanza; vengono rimossi gli stati d’animo e le angherie subite. Si sopravvive, creando una normalità artificiale che consente di percorrere la quotidianità.

Ci sono fatti che, anche con il miglior stato d’animo possibile e tutta la compressione di cui sono capace, non perdonerò mai ai miei genitori, ai miei insegnanti e ai miei compagni. E sono cattiverie gratuite, magari involontarie, capaci di segnare la psiche in modo indelebile. L’unico modo per superarle è dimenticarle.

Non perdonerò mai a mio padre d’avermi imposto con la forza, quando avevo otto anni, di assumere una postura corretta nello scrivere, facendomi piangere come un disperato. Non perdonerò mai il preside, che firmò il decreto di sospensione dalla scuola che frequentavo e mi costrinse ad abbandonarla. Non perdonerò mai la professoressa di tedesco per le parole dure con le quali mi definiva “senza speranza”. Ma allora ero un eversivo che sfidava il mondo, che subiva e poi rilanciava, mascherando le sue difficoltà con atteggiamenti ribelli incomprensibili ai più.

Per molti anni, nei giorni della ricorrenza della mia sospensione da scuola, non sono riuscito a prender sonno. Mi terrorizzava l’idea del collegio nel quale i miei volevano spedirmi – per mia fortuna la cosa non accadde mai -, dato che avrebbe spezzato l’ultimo legame con gli affetti di mamma e papà, dopo che la sospensione scolastica aveva disintegrato il mio universo. In questi anni ho metabolizzato, e ora riesco persino a salutarli per strada con cordialità. Ho lottato non solo contro la distonia, ma anche contro il mio equilibrio mentale, che è ora tale da farmi ribelle ma non assassino.

Tempo fa mi convocarono nella commissione d’esame in un corso di web design. Correggendo le prove pratiche, incappai in un lavoro sufficiente, ma talmente infantile e inelegante da lasciare sconcertati. Pieno di gattini in tutte le salse: gattini animati, arruffati, gattini che giocavano coi batuffoli di lana, gattini belli e anche gattini brutti, molto brutti. Diedi un 6 meno come voto, ripromettendomi di stendere l’autrice durante l’orale. Quando arrivò il suo turno, il membro interno della commissione d’esame spiegò, prima del suo ingresso, che si trattava di un caso particolare, di una ragazza con un ritardo mentale. Al suo ingresso, era evidentemente emozionata, ma serena e desiderosa di confrontarsi anzitutto con se stessa. Non la stesi, anzi, cercai il più possibile di metterla a suo agio, di farle raccontare dei suoi gatti e delle sue passioni. La mia era la prova più importante di tutte, e la gran parte del voto finale dipendeva dal suo esito. Alla fine proposi la lode!

Fu un’incredibile battaglia, gli altri commissari non capivano quello che per me era talmente evidente da crearmi difficoltà persino a descriverlo. Cioè la relatività della fatica, la differenza d’impegno necessario a superare le asticelle per chi non possiede certe doti diffuse ai più. Vincere le sfide per chi, come quella ragazzina, non riusciva ad avere la lucidità mentale di chiunque altro, era una impresa improba, snervante, faticosissima. Lei l’aveva compiuta, e io non potevo far altro che prenderne atto, ergendola a esempio per tutti gli altri. Alla fine le fu data la lode!

Tutto ciò è nel gioco di specchi che la visione di “Stelle sulla terra” ha innescato. Consapevolezza di fattori che conoscevo già, ma non riconoscevo. Di stati d’animo che non tutti provano e che spesso generano mostri. Io ho vinto la mia battaglia, ora so quanto sia nelle piccole cose la bellezza della vita, e ogni volta ne assaporo il gusto, sempre diverso e sempre comunque inebriante.

Mi preme invitare gli insegnati a essere opposti a quelli che ho avuto io, perché combattere da soli rende le probabilità di vittoria molto scarse. Basta un minimo di consapevolezza del fatto che il ruolo di docente implica delle responsabilità. Se non vi va di prenderne atto, è di gran lunga meglio che smettiate di insegnare.

Albert Einstein da bambino faceva fatica a capire i numeri e rischiò di abbandonare la scuola poiché considerato un lavativo, un pigro, inadeguato ad impegnarsi. Se l’opinione di un maestro incapace di capire avesse avuto il sopravvento sulla caparbietà dei suoi genitori, la storia della scienza sarebbe arretrata di un secolo. Le personalità simili sono davvero numerose: da Agatha Christie a Thomas Edison, da Galileo a Darwin, da Picasso a Van Gogh, da Stefano Torre a Torre Sindaco. Prendo in prestito le parole del maestro di Ishan: “Sulla nostra terra sono spuntate piccole stelle che con la loro luce hanno illuminato il mondo, perché sono riuscite a farci guardare le cose con i loro occhi. Pensavano in maniera diversa e le persone vicine non lo accettavano e le hanno ostacolate, loro però ne sono uscite vincenti… e tutto il mondo è rimasto a bocca aperta.

Forse questi appunti disordinati su una psiche guardata allo specchio bastano a spiegare un mese di silenzio del presidente. Vi invito a guardare il film, sarà in ogni caso un’esperienza degna d’essere vissuta.

Stefano Torre

Nato a Piacenza nel 1965, è un imprenditore piacentino nel ramo del web. Dal '94 al '98 è stato consigliere comunale in città e in quel periodo ha rubato il "Ritratto di signora" di Gustav Klimt dalla galleria Ricci Oddi. Dal '96 al '99 ha introdotto e divulgato il tema dell’inquinamento luminoso in Italia, tenendo una rubrica fissa sulla rivista Coelum astronomia. Vent’anni fa ha fondato la Infonet srl (www.infonet-online.it), l’azienda che ancora oggi conduce. La sua passione è addentrarsi nei meandri degli algoritmi che regolano il ranking di Google, spesso riesce a capirli, ma altrettanto spesso si sente un totale incompetente in quella che dovrebbe essere la sua materia. Nel 2017 si è candidato a sindaco di Piacenza, proponendo un programma surreale, con al primo punto la costruzione di vulcano in città nel quale bruciare i rifiuti e sulle cui pendici sciare. Ha preso il 4,28% dei voti, senza essere eletto.