cultura
Dal megafono alla bicicletta, Alberto Esse: «Opponiamoci alle stesse autorità del ‘68»
Ieri l’altro, Esse – soprannome di Alberto Spagnoli – ha presentato il pamphlet autoprodotto “Mesi come anni” tra gli scaffali della libreria Fahrenheit in via Legnano. «Il libro dà conto delle azioni personali intraprese a Piacenza nella stagione del Sessantotto».
Le contestazioni di Alberto Esse fondono forma e contenuti in unico linguaggio. Nei suoi comizi col megafono, come i più recenti contro la candidatura di Piacenza a capitale della cultura, il luogo e le modalità non sono mai casuali. La sua bicicletta non si limita a essere un mezzo di trasporto, ma – agghindata di cartelli e volantini – l’artista vorrebbe che diventasse un innesco a due ruote di proteste (spesso discutibili e controverse). Ieri l’altro, Esse – soprannome di Alberto Spagnoli – ha presentato il pamphlet autoprodotto “Mesi come anni” tra gli scaffali della libreria Fahrenheit in via Legnano. «Il libro dà conto delle azioni personali intraprese a Piacenza nella stagione del Sessantotto. Gli avvenimenti sono ricostruiti in ordine cronologico attraverso documenti originali del mio archivio, legati alla denuncia della guerra del Vietnam, alla lotta degli studenti e, in particolare, al movimento artistico denominato poi Arte del ’68».
«Le forme editoriali di autoproduzione risalgono proprio al Sessantotto, quando si distribuivano le fanzine», ricorda l’eccentrico autore. «È il quarto saggio che pubblico con questo sistema: stampo dieci copie in copisteria e le consegno di persona nelle librerie per una vendita al prezzo simbolico di due euro. Terminate le prime copie, ne ristampo altre venti. Dopodiché altre trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, e così via. Non si spreca la carta, non c’è un investimento iniziale ed è un processo immediato». Anche in quest’opera, Esse ha frullato buccia e polpa in un solo composto, associando a ogni font uno specifico ambito narrativo. «Il documento esamina tre storie autobiografiche connesse tra loro: quella politica (in caratteri Times New Roman), quella civile e sociale (in caratteri Times New Roman corsivo), e quella artistica (in caratteri Arial Round). Non è e non vuole essere un documento di analisi teorica. Infatti, non si citano gli avvenimenti ai quali non ho partecipato direttamente, seppur significativi».
Per Esse, attivista locale del movimento del Sessantotto, starebbe accadendo una mistificazione storica di quel lasso di tempo «rivoluzionario» in cui scesero in piazza operai e studenti. Questo fenomeno socio-culturale ha sempre diviso l’opinione pubblica. «Chi detiene il potere non ha interesse che si legga con onestà intellettuale il Sessantotto. Si vuole ridimensionare l’impegno di chi ha negato le autorità e le istituzioni. A quali figure bisogna opporsi oggi? Alle stesse di allora. Agli interventi militari anticostituzionali del Governo italiano, ai mezzi di comunicazione che criminalizzano l’antifascismo, ai partiti-azienda antidemocratici, al potere che manipola i mass media. Adesso però», riconosce Esse, «non ci sono più i movimenti di lotta di allora».
Alcuni episodi del Sessantotto piacentino
Nel pamphlet è ripercorsa la contestazione al film “Berretti Verdi” di John Wayne nell’autunno 1968, una pellicola incentrata sulle spedizioni delle forze speciali statunitensi contro i vietcong, accusata d’avere una trama reazionaria e perciò accolta da picchetti fuori dalle sale cinematografiche. Anche Alberto Esse fece la propria parte, realizzando in Piazza Cavalli una mostra sul selciato di lunghe strisce con manifesti pacifisti e incollando con la vinavil dei volantini sulle vetrine di Corso Vittorio Emanuele.
Il viaggio nella memoria di Esse prosegue attraverso la nascita del Fronte Giovanile Rivoluzionario agli albori del 1969: un gruppo di giovani con sede in via Campagna 151 che riuniva gli anarchici, i maoisti e i fuoriusciti dal Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Nel maggio ’69, in nome della difesa dell’ambiente e della critica alla pittura tradizionale, espose su diciassette alberi del Pubblico Passeggio dei cartelli in successione numerica (Albero Vero 1, Albero Vero 2, Albero Vero 3…). Fu la prima «manifestazione organica dell’arte povera a Piacenza», in polemica con gli stereotipi di una certa pittura e di una certa scultura considerate operazioni convenzionali e “false” come potevano essere gli alberi dipinti.
Pochi mesi prima, non furono tollerate neanche le classiche ricorrenze occidentali. Il movimento distribuì in città un adesivo dal titolo PSSST 1 Carnevale che triste: «una critica alle feste confezionate dal consumismo», come San Valentino («in cui i padroni dicono quando amare e comprare»), la Pasqua («quando devi pensare in pace e consumare la colomba») o il Natale («quando devi celebrare il panettone»).