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Piacenza città triste? No, troppe energie soffocate dal provincialismo
“Giovani”: voce del verbo fare, tempo presente. Sono tanti i giovani – fuor di retorica – che nel nostro territorio hanno voglia di costruire, realizzare, organizzare, sognare, ideare, pensare e innovare. E che non ci stanno a sentirsi ripetere quanto Piacenza sia una città triste, mentre loro si districano nella selva soffocante della burocrazia e tra risorse economiche sempre più scarse. Ne conosco parecchi che proprio in questi giorni stanno programmando una nuova stagione ricca di eventi e manifestazioni. Spulciare i vincitori del bando comunale “Giovani progetti” è un buon esercizio per accorgersene.
Decido di telefonare ad alcune anime ruggenti di Piacenza. Apro la rubrica del cellulare, sfoglio i contatti e comincio da Giulio Taroni, 26 anni, presidente dell’associazione Diciottotrenta, reduce dall’organizzazione di “Arte in circolo” nel salone monumentale di Palazzo Gotico: «Nel nostro piccolo, cerchiamo di ravvivare la città. Piacenza non è una città triste, soprattutto se paragonata ad altre realtà urbane. La gente, però, ha una quadra mentale particolare: è affezionata alle proprie abitudini, ai bar di quartiere e alle gite in campagna, influenzata da una posizione di intermezzo tra la Lombardia e l’Emilia-Romagna. Insomma, è più difficile insediare nuove energie, anche nella cultura dei ragazzi; ma questo aspetto rende al contempo stimolante il panorama locale. Chi descrive Piacenza come una “città triste”, probabilmente, non ci abita».
Isacco Mezzadri, 39 anni, è il referente dell’associazione Propaganda 1984, un nucleo di giovani al lavoro per inaugurare la quarta edizione del Bleech Festival, una manifestazione ben collaudata di musica indipendente, street food, cucina e laboratori di ogni genere: «Non noto un decadimento rilevante. Piacenza è alla pari di altre città: soffre di macro-problemi legati al lavoro e alla sicurezza. Accentuare il fenomeno della tristezza nel nostro territorio è un errore». La studentessa universitaria Maria Rossi, 19 anni, rileva «poca movida» e la quasi assoluta «estraneità verso il centro storico degli iscritti al Politecnico e alla Cattolica provenienti da altre nazioni. Bisogna coinvolgerli maggiormente». Luigi Centenaro, 21 anni, risponde sottovoce: «Sono in biblioteca, dimmi». “Piacenza è una città triste?”, gli domando. «No, anzi, non si colgono le numerose opportunità che offre. È un’ottima città, con fiere, laboratori, workshop, corsi che spaziano dalla grafica al disegno, dal cinema alla fotografia».
Non tutti mi danno riscontri positivi. «Percepisco un alto grado di tristezza», sentenzia il 19enne Daniele Spina. «Parma e Cremona sono completamente diverse. Il centro storico di Piacenza, durante la settimana, è morto. Dopo le otto di sera c’è un clima malinconico. Locali, bar e negozi sono chiusi, per nulla sostenuti dalle istituzioni con decontribuzioni fiscali e sostegni al piccolo commercio». «Per i giovani ci sono poche possibilità», aggiunge la 21enne Flavia De Meo, «mancano le offerte di svago e di intrattenimento. Agli eventi come i Venerdì piacentini, i cittadini reagiscono con entusiasmo: ciò vuol dire che esistono le potenzialità, ma scarseggiano le giuste motivazioni». Per Eleonora Antoniozzi, 21 anni, iscritta al Liceo Gioia, «dipende dai periodi: a volte la città è più movimentata, altre no. Il centro storico non viene valorizzato a sufficienza». E conferma che «l’appuntamento più divertente è costituito dai Venerdì piacentini, ma anche l’adunata degli Alpini nel 2013 è stata indimenticabile».
Leopoldo Rodriquez, 26 anni, è il giovane inventore di un sistema multimediale di video-narrazione del patrimonio locale che presto verrà presentato ai piacentini: «Non credo sia una città triste, ma annoiata e priva di passione. Rispecchia i sentimenti dei suoi abitanti. I dati demografici vedono ogni anno l’aumento dell’età media e la diminuzione dell’indice di ricambio generazionale. La popolazione che invecchia può limitare l’impulso gioioso. I giovani sono il motore della città felice, leggeri e pieni di stupore, sempre pronti a innovare. Occorre equilibrare queste due fasce anagrafiche». L’attrice teatrale Letizia Bravi, 27 anni, non vive più a Piacenza per motivi di studio e lavoro. «Ma qui, nella mia città, ci torno spesso, costantemente. Penso che la percezione di Piacenza come città triste è intrinsecamente legata a un nostro “umore piacentino” e a una nostra attitudine chiusa, schiva, refrattaria al nuovo. Ho viaggiato e vissuto in diverse città. Attualmente vivo nella vicina Reggio Emilia e qui l’aria è diversa. Si lasciano vivere e respirare i giovani. Non chiudono un pub in centro perché disturba la notte e non tagliano i fondi al teatro. Non reputo Piacenza una città “morta”. O meglio: non la reputavo fino a poco tempo fa. Inevitabile purtroppo percepirla come tale, dopo i pesanti tagli che la vita culturale di questa città ha subito. Penso a Pulcheria, al centro Belleville, al cinema all’aperto al Daturi, a Spazio 4 e al nostro Teatro. Unica nota positiva e che risolleva il morale», conclude Bravi, «è il proseguimento dell’ottima iniziativa comunale del Bando giovani progetti. Tuttavia, non basta. Penso che serva fare di più».
La talentuosa arpista 26enne Tatiana Alquati, che recentemente ha affiancato Renato Zero nel suo tour, commenta: «Frequentando anche Parma, constato che Piacenza sia più desolata. Di sera molti bar e ristoranti abbassano le saracinesche. Dal punto di vista culturale, l’unico fermento è quello innescato dalla Fondazione Teatri. Non c’è spazio per i giovani, soprattutto in ambito musicale». Alessia Guarnieri, 19 anni, pensa che l’ambiente «non sia poi così triste». Secondo lei, «le potenzialità sarebbero enormi. Apprezzo il Cinema sotto le stelle al Daturi e i Venerdì piacentini». Suvi Haavisto è una ragazza finlandese di 18 anni che ha trascorso dodici mesi a Piacenza in Erasmus: «Non è triste, mi è piaciuta molto. Non dimenticherò mai i panorami favolosi, la gentilezza dei cittadini, il clima e il gelato. A Piacenza, le chiese e le aree all’aria aperta sono magnifiche. Sono tante le possibilità per i giovani».
Faccio uno strappo alla regola: rischiando di risultare autoreferenziale, e con un po’ di presunzione, anch’io mi schiero tra quei Giovani-voce-del-verbo-fare. Piacenza non è una città triste nella sua essenza. C’è un fermento troppo spesso arginato da dogmi gretti; scoraggiato dai cecchini del pessimismo e del malaugurio; annegato nel provincialismo. È triste chi continua a soffocare queste energie, negandole, screditandole o addirittura non prendendole in considerazione nel nome di vecchi e stantii schemi.
Thomas Trenchi