cultura
Franco Scepi: «Da viale Dante al Daturi, i miei progetti tralasciati da Piacenza»
«Non è mai stato sviluppato un immaginario comune, perciò Piacenza viene tacciata di immobilismo». Franco Scepi, artista polivalente “piacentino d’adozione”, spolvera dalla soffitta alcuni progetti «prima richiesti e poi ignorati dalle istituzioni locali». Tra questi, spiccano l’idea di riqualificazione dell’area attorno a Palazzo Farnese e il disegno di una rotonda emblematica in viale Dante. Scepi, che ha sperimentato la pittura, la scultura, la grafica e il cinema (sovrapponendo queste tecniche alla pubblicità), a posteriori si vede come una Cassandra in riva al Po che ha allertato invano la classe dirigente piacentina sulla «necessità di sviluppare un insieme di concetti capace di rendere attrattiva la città».
«Piacenza viene definita “triste” perché gli abitanti le hanno permesso d’indossare questo vestito cupo. Qui nessuno sembra disposto a condividere parte delle proprie energie per ritrovare l’allegria. Si tende a nascondersi e a chiudersi, da sempre. Mancano soprattutto gli investimenti privati sulle iniziative di pubblico interesse. C’è un atteggiamento da “cassettista”, cioè di chi tiene le risorse solo per se stesso», analizza Scepi. Proprio nelle ultime settimane, la Giunta è alla ricerca di sponsorizzazioni per sostenere eventi, manifestazioni, lavori, forniture, servizi e attività comunali. «La cabina di regia di Parma, invece, ha espresso una spiccata dinamicità imprenditoriale, sollecitando l’ego per emergere a livello nazionale e internazionale».
Un parco naturalistico nel campo Daturi
Negli anni Novanta, l’Amministrazione commissionò a Scepi e ai colleghi Cavagna e Raimondo il compito di elaborare una strategia per rivitalizzare piazza Cittadella e il campo Daturi. Tuttora, conserva i documenti consegnati a Palazzo Mercanti. «Già allora scartai la possibilità di proporre gli scavi in piazza Cittadella per un posteggio sotterraneo: nel sottosuolo vi sono beni archeologici intoccabili», prosegue Scepi. «Volevo far diventare il Daturi inerente al fiume Po – come alle origini -, incastonandolo tra il passato e il futuro. Come? Realizzandovi un parco naturalistico legato alla fauna e alla flora fluviale. Se il mondo si percepisce attraverso i sensi, sempre attraverso i sensi si può comunicare il mondo. Occorreva rileggere le presenze architettoniche nei loro significati sociali. L’ex biglietteria – adesso in condizioni fatiscenti – doveva diventare un polo per nuove attività di comunicazione collettiva multifunzionale, con caffè libreria, internet pub e altri presidi in grado di ristabilire un contatto attivo con i piacentini. Esternamente, avrebbe avuto una cupola a forma di chiocciola per seguire la traccia del fiume Po. Inoltre, avanzammo l’ipotesi di un parcheggio nella conca del Daturi, per sfruttare gli scavi già esistenti. Ci pagarono un rimborso spese e riposero il progetto in un cassetto».
Scepi ripropose lo stesso concetto della chiocciola anche in qualità di direttore creativo di “Piacenza Fiere”, ribattezzato in “Piacenza Expo”: «Concepii l’attuale logo dell’Ente, collegando l’ambito locale a quello globale: da una parte quella sorta di conchiglia rappresentava il passaggio del Po, mentre dall’altra era ed è il segno di internet».
La caratteristica rotonda pensata per viale Dante
Alla fine degli anni Novanta, Scepi (affiancato dagli architetti Cavagna e Manfredi) vinse un concorso organizzato dall’ex Azienda servizi municipalizzati della città (presieduta dall’ingegnere Lino Girometta) per realizzare una fontana nella rotonda di viale Dante. Lo scopo della gara era stimolare la riflessione sul bisogno di luoghi d’uso collettivo ai quali si polarizzi lo spazio pubblico. «Essendo viale Dante fuori dalle mura, pensai di dare risalto al simbolo della colonna della tagliata, ossia quella “cintura di rispetto” di circa un miglio dalla città entro la quale nell’antichità non dovevano esserci alberi, corpi o costruzioni che compromettessero la visibilità militare. Per la rotatoria, abbozzai un’alta colonna della tagliata chiamata “corpo celeste”, sormontata da una sfera sospesa illuminata di notte e avvolta dall’acqua. La colonna raffigurava il passato e la sfera indicava il futuro. Premiarono la proposta, ma non la concretizzarono».
L’estrosità di Scepi al servizio della “Milano da bere”
Qualche anno prima, il Comune di Milano scommise sull’estrosità di Scepi: dopo il tragico attentato di Piazza Fontana nel 1969, l’artista si occupò di «restituire colore» al capoluogo lombardo. «Il terrorismo aveva indotto paura nelle persone. Le strade morirono, riempiendosi di “pantere” della polizia. Così l’allora sindaco Carlo Tognoli mi chiese di occuparmi della cultura come consulente esterno», ricorda Scepi. «L’Amministrazione non aveva soldi in tasca, dunque mirai a dare un valore aggiunto alla pubblicità, arricchendola con l’arte. In poche parole, iniziai a comunicare l’immaginario sociale della città attraverso l’espressione delle aziende che operavano sul territorio. Pur essendo una città famosa per la nebbia e il lavoro, presto si trasformò nella “Milano da bere”, con la complicità dello slogan che io e Marco Mignali inventammo per l’Amaro Ramazzotti. Rigenerai anche il Carnevale ambrosiano – tipicamente inteso come una ribellione alla repressione che i regnanti imponevano al proprio popolo -, la festa sui Navigli e la Biennale».
Thomas Trenchi