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A cento ripidi scalini da terra, gli affreschi del Pordenone in Santa Maria di Campagna

Nella Basilica di Santa Maria di Campagna, a cento ripidi scalini da terra, si arriva quasi a toccare il cielo. Almeno idealmente, sotto gli affreschi armoniosi di Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone. Servizio fotografico di Marco Caviglioni.

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Nella Basilica di Santa Maria di Campagna, a cento ripidi scalini da terra, si arriva quasi a toccare il cielo. Almeno idealmente, sotto gli affreschi armoniosi di Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone. L’antico camminamento – ripristinato e promosso dalla Banca di Piacenza senza alcun contributo pubblico – fino al 10 giugno 2018 porterà al punto più alto dell’edificio, su una galleria circolare panoramica che restituisce alla cittadinanza un inestimabile patrimonio artistico, rispettando il profondo senso religioso del luogo.

«Il riscontro dei visitatori per ora è molto positivo. In tanti mi hanno confessato che, pur frequentando la chiesa da tempo, non hanno mai compreso il significato di queste opere. Grazie alla spiegazione approfondita delle guide, può riemergere il messaggio lasciato dal Pordenone: la salvezza di Dio», ha introdotto padre Secondo Ballati, rettore dei frati minori della Basilica. La Salita al Pordenone è anche un’occasione per stabilire un contatto con Santa Maria di Campagna, così chiamata perché, prima delle ristrutturazione e dell’ampliamento ad opera dell’architetto Alessio Tramello, sul posto esisteva un piccolo santuario dedicato alla Madonna e soprannominato di “Campagnola”. «Le forme artistiche contenute nelle chiese sono le più accessibili in assoluto. Questo è un esempio di turismo religioso ben riuscito, che non trascura la fede cristiana», conferma padre Secondo.

L’antico camminamento veniva utilizzato dagli studenti piacentini

La visita parte dal corridoio delle confessioni, accennando alla vita dell’artista che lavorò alla cupola di Santa Maria di Campagna tra il 1530 e il 1535 (prima fece tappa a Cortemaggiore e Monticelli per affrescare le rispettive cattedrali). Qui, dove ora sostano a gruppetti i visitatori, i Farnese nel Cinquecento assistevano alle funzioni da uno spazio privilegiato; e nel 1547, dopo l’assassinio di Pierluigi Farnese, fecero aggiungere delle grate per proteggere i membri della famiglia, dividendo la nobiltà dalla plebe. Il Pordenone morì nel 1539, lasciando la cupola maggiore incompiuta su tamburo e pennacchi, i quali vennero terminati in un secondo momento da Bernardino Gatti detto il Soiaro. L’antico camminamento, interrotto da un’area di sosta a metà strada, veniva utilizzato dagli studenti dell’Istituto d’arte piacentino Gazzola; qualcuno incise il proprio cognome con graffiti tuttora visibili. Oltre alla cupola maggiore affrescata dal Pordenone, che afferma la superiorità del Nuovo testamento rispetto alla tradizione pagana come nella Cappella Sistina, è possibile ammirare le cupole laterali dei Magi e di Santa Caterina, i tondi di Gaspare Landi e le altre opere custodite nella Basilica.

Sgarbi ha lodato l’iniziativa. E un insolito visitatore sosta nella Basilica…

Ieri l’altro, il critico d’arte Vittorio Sgarbi ha lodato questa iniziativa, senza la quale «Giovanni Antonio de’ Sacchis sarebbe rimasto uno dei tanti grandi artisti italiani semi sconosciuti. Non ce ne hanno parlato a scuola, così come non ci hanno fatto studiare Lorenzo Lotto, perché fino agli inizi del ‘900 l’arte italiana coincideva esclusivamente con quella toscana». Per Sgarbi, «Pordenone fu il primo interprete della pittura romana nel nord Italia, che grazie agli affreschi di questa cupola fiorì a Piacenza, a Cremona, Ferrara, Mantova, Brescia e in altri centri che sono, appunto, i luoghi del “Manierismo padano”. Il Rinascimento declinato al “Manierismo padano”, quindi, si è concretizzato proprio qui, in questa città che vanta la prima grande cupola romana del nord Italia».

Un piccione nella lanterna di Santa Maria di Campagna

Un insolito viaggiatore in questi giorni sta stuzzicando la curiosità dei presenti: ben ancorato a un davanzale della lanterna, infatti, s’intravede il piccione “Tony” (così chiamato scherzosamente dalle guide). Il volatile si è intrufolato furtivamente nella Basilica, forse per ammirare da vicino i dipinti del Pordenone, e non sembrerebbe intenzionato ad andarsene.

Classe 1998, giornalista professionista dell'emittente televisiva Telelibertà e del sito web Liberta.it. Collaboratore del quotidiano Libertà. Podcaster per Liberta.it con la rubrica di viaggi “Un passo nel mondo” e quella d’attualità “Giù la mascherina” insieme al collega Marcello Pollastri, fruibili anche sulle piattaforme Spreaker e Spotify; altri podcast: “Pandemia - Due anni di Covid” e un focus sull’omicidio di via Degani nella rubrica “Ombre”. In passato, ideatore di Sportello Quotidiano, blog d'approfondimento sull’attualità piacentina. Ha realizzato anche alcuni servizi per il settimanale d'informazione Corriere Padano. Co-fondatore di Gioia Web Radio, la prima emittente liceale a Piacenza. Creatore del documentario amatoriale "Avevamo Paura - Memorie di guerra di Bruna Bongiorni” e co-creatore di "Eravamo come morti - Testimonianza di Enrico Malacalza, internato nel lager di Stutthof". Co-autore di “#Torre Sindaco - Storia dell’uomo che promise un vulcano a Piacenza” (Papero Editore, 2017) e autore di "La Pellegrina - Storie dalla casa accoglienza Don Venturini" (Papero Editore, 2018). Nel maggio del 2022, insieme ai colleghi Marcello Pollastri e Andrea Pasquali, ha curato il libro-reportage "Ucraina, la catena che ci unisce", dopo alcuni giorni trascorsi nelle zone di guerra ed emergenza umanitaria. Il volume è stato pubblicato da Editoriale Libertà con il quotidiano in edicola. Ecco alcuni speciali tv curati per Telelibertà: "I piacentini di Londra" per raccontare il fenomeno dell'emigrazione dei piacentini in Inghilterra nel secondo dopoguerra, con immagini, testi e interviste in occasione della festa della comunità piacentina nella capitale britannica dal 17 al 19 maggio 2019; “I presepi piacentini nel Natale del Covid”; “La vita oltre il Covid” con interviste a due piacentini guariti dall’infezione da Coronavirus dopo dure ed estenuanti settimane di ricovero in ospedale; il reportage “La scuola finlandese” negli istituti di Kauttua ed Eura in Finlandia.