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Towanda, anche a Piacenza inizia la riscossa delle donne nel Pd
A Piacenza, hanno aderito a Towanda il vicesegretario provinciale del Pd Giovanna Palladini, il consigliere comunale Giulia Piroli, l’assessore regionale Paola Gazzolo e Letizia Bricchi.
È un movimento di protesta interno al Partito Democratico, formato dalle donne che non sottostanno alla scarsa rappresentanza femminile del centrosinistra.
Towanda, nome ispirato al grido di battaglia delle protagoniste del film “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”, è il titolo del documento firmato dalla base rosa del Pd per chiedere ai vertici di non ripetere l’errore delle pluricandidature femminili nelle liste proporzionali che hanno favorito la rappresentanza del genere maschile, d’impegnare gli eletti a introdurre la doppia preferenza di genere in tutte le leggi elettorali regionali e di sostenere la rinascita della Conferenza nazionale delle donne democratiche, un organo politico teoricamente previsto dallo statuto ma concretamente caduto nel dimenticatoio.
A Piacenza, hanno aderito a Towanda il vicesegretario provinciale del Pd Giovanna Palladini, il consigliere comunale Giulia Piroli, l’assessore regionale Paola Gazzolo e Letizia Bricchi, seguendo le promotrici nazionali Francesca Puglisi, Monica Cirinnà, Roberta Mori, Ilaria Borletti Buitoni, Elisabetta Gualmini, Emma Petitti e Maria Amato. La maggior parte delle esponenti deluse proviene dall’Emilia-Romagna, anche se questa sollevazione non ne ha convinto la totalità.
«Vogliamo rilanciare l’azione delle donne nel Pd, in base alle competenze e non alle logiche di fedeltà politica», ha precisato Piroli. «Anche a Piacenza deve tornare a riunirsi la Conferenza delle donne democratiche, che da anni è stata riposta in un cassetto. È grave che in Parlamento, per la prima volta, il Partito Democratico abbia un numero esiguo di elette rispetto al Movimento 5 Stelle e al centrodestra. Auspico che questo movimento coinvolga energie esterne al partito ma presenti nella società, per creare un fronte unito in grado di difendere i diritti conquistati in passato che rischiano di essere rimessi in discussione». E poi, riferendosi alle ultime iniziative organizzate dalla Giunta Barbieri per la festa della mamma, il consigliere comunale ha ricordato che «occorre rilanciare il dibattito sul ruolo della donna nella società, svincolandolo dalla veste esclusivamente materna».
«Il documento è importante perché segnala un problema, vale a dire quale rapporto con la società reale vuole ricostruire il Partito Democratico. L’ho firmato perché mi sembra una giusta provocazione che in parte nasce come tentativo di risposta a un risultato elettorale deludente», ha fatto sapere Palladini. «Ci sono alcune precondizioni per passare dalla provocazione al progetto: che il documento sia allargato a tutte le donne del Pd a prescindere dalle correnti interne, che sappia coinvolgere il partito intero, che non sia un malcelato attacco alle donne che sono state elette e che si individui una piattaforma di temi strategici».
La scorsa settimana, le sottoscrittrici di Towanda si sono ritrovate a Roma per un incontro nazionale. Il manifesto firmato da centinaia di tesserate chiede anche di “rispettare pienamente ogni vincolo statutario sulla pari rappresentanza di donne e uomini negli organismi dirigenti del Partito, negli organismi esecutivi e nella selezione delle candidature” e di “promuovere rinnovate forme di partecipazione e dialogo con le donne italiane, i loro movimenti e associazioni per l’elaborazione delle politiche in un’ottica di genere”. Il j’accuse utilizza toni nudi e crudi: “Sono bastate le pluricandidature di otto donne per escludere trentanove candidate e favorire l’elezione di altrettanti uomini. Il cinismo non ha sortito pienamente i propri effetti perché il flipper si è incagliato nella batosta elettorale. Il tutto in violazione palese dello statuto e nel silenzio degli organismi preposti al controllo”. Towanda si scaglia contro le “pesanti diseguaglianze di genere nell’accesso al mercato del lavoro, nelle carriere, nelle retribuzioni, nella previdenza, nella presenza nella politica e nelle istituzioni”, reperendo tra le cause della disfatta elettorale del 4 marzo anche “l’insufficiente capacità di interpretare i bisogni delle fasce di popolazione più esposte alla crisi, tra cui le donne”.