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Tredici 2, il commento di Barbara Belzini sulla serie Netflix: «Quando l’amicizia riguarda il sacrificio»

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Anche se non sta lasciando tutti soddisfatti, la seconda stagione della serie Netflix “Tredici” – titolo italiano di “13 Reasons Why” – sta facendo (ancora) discutere per le tematiche toccate e per le modalità di divulgazione al giovane pubblico: il suicidio, il bullismo, l’adolescenza, l’uso di droghe e lo stupro.

Sono passati cinque mesi dal suicidio di Hannah, la studentessa della Liberty High School che si è suicidata lasciando sette cassette in cui spiega le tredici ragioni che l’hanno spinta a togliersi la vita. I protagonisti stanno affrontando le conseguenze della sua morte, scoprendo lentamente un complotto per cercare di nascondere la verità.

Dopo la chiacchierata dell’anno scorso per il debutto della serie, abbiamo riproposto un’intervista alla critica cinematografica piacentina Barbara Belzini.

La critica cinematografica Barbara Belzini

La critica cinematografica Barbara Belzini

Cosa promuovi e cosa scarti di “Tredici 2”?

«Ho iniziato a guardarla con una certa svogliatezza, e non nascondo un po’ di insofferenza verso la costruzione ripetitiva delle puntate monografiche: la narrazione ne risente, si appesantisce, e la cornice delle testimonianze dei ragazzi al processo non aiuta sicuramente a rendere il tutto più scorrevole. Tutta la parte iniziale è poco spontanea (ingessata ulteriormente dai messaggi sociali, ma siamo negli Usa, the land of the free and the home of the brave), sembra un piccolo manuale sul bullismo e sul disagio scolastico. Poi si trasforma in qualcosa di più drammatico e forte, con un buon crescendo, e due ottime puntate finali. Mi piace la messa in scena di adolescenti problematici di questi anni, perché è meno patinata e più cruda della rappresentazione dei ragazzi degli anni Ottanta e Novanta. Essere giovanissimi è sempre interessante: è difficile tirarne fuori qualcosa di brutto».

La prima stagione sembrava perfetta: era davvero necessario il rinnovo?

«Dato il grande successo della prima stagione, il rinnovo era inevitabile: ai ragazzi continua a piacere, probabilmente non è male per gli adolescenti ogni tanto vedersi rappresentati come le persone complesse che (a volte) sono. Infatti i dati di ascolto danno ragione alla produzione, visto che Netflix ha già annunciato che la serie avrà una terza stagione, che uscirà nel 2019. Ma Hannah non ci sarà più, e speriamo di vedere qualcosa di nuovo, a partire dal cliffhanger della fuga di Tyler».

Tre dettagli per cui vale la pena guardare la serie.

«Il mio momento preferito di tutta la stagione è la rissa di tutti contro tutti dell’episodio 2×11 “Bryce and Chloe”».

«Tra i protagonisti, il personaggio scritto meglio si conferma Alex Stendall, il figlio dello sceriffo, l’unico che realmente cresce di puntata in puntata, il “pathetic loser” che durante la prima stagione prova a reagire e con i suoi 40 chili si fa ammazzare di botte, che si spara in testa e non riesce neanche ad ammazzarsi, ma è capace solo di restare storpio e continuare a odiarsi. “And I have a tender spot in my heart for cripples, bastards and broken things”. Secondo posto per Tony Padilla ovviamente, perché è un uomo, non c’è altro da dire».

«Nella stagione 1, la prima canzone che Clay e Tony ascoltano in macchina e quella che chiude la serie (sempre con Clay e Tony che se ne vanno in macchina, ma con Skye e Brad) è “Love will tear us apart” dei Joy Division, e già uno pensa “Vabbè ma di tutto il resto cosa me ne deve fregare”. Inoltre ho notato che ci sono canzoni che attraversano le serie, ci avete fatto caso? “I feel you” dei Depeche Mode è la colonna sonora del teaser di questa stagione 2, e anche il pre-finale di Sense8. “The Killing moon” degli Echo and The Bunnymen era sia nella stagione 1 che nella 2 di 13, ed è anche nell’ultima stagione di Billions».

Under blue moon I saw you
So soon you’ll take me
Up in your arms, too late to beg you
Or cancel it though I know it must be
The killing time
Unwillingly mine

Come giudichi lo stile, la trama e la sceneggiatura?

«Questa rigida struttura in 13 puntate porta a un certo schematismo narrativo che sovrappone troppi problemi sparsi su troppi ragazzi: in questa stagione, oltre al suicidio riuscito di Hannah e a quello tentato di Alex, c’è il padre morto di Zach, i problemi mentali di Skye, Justin che si droga e vive per strada, lo stupro di Tyler, Tony ha problemi con la giustizia, Montgomery, che è una figura che vediamo per una manciata di minuti, ha anche lui un padre che lo picchia. Troppa roba, tutta nella stessa scuola, dai. Riempirli di un grave disagio è l’unico modo che hanno trovato per renderli interessanti: fateci caso, quelli senza grandi problemi hanno semplicemente meno minutaggio (Sheri, Courtney, Marcus, Ryan). Dal punto di vista della sceneggiatura ripercorrere la storia tramite le testimonianze di tutti i ragazzi aggiunge poco a quanto già visto nella prima stagione: il risvolto più significativo mi sembra il racconto della relazione segreta di Hannah con Zach. È un passaggio cruciale, perché se Hannah è sessualmente attiva la percezione che abbiamo di lei può cambiare radicalmente. E infatti la reazione di Clay (che di fatto è i nostri occhi) è di delusione, di tradimento, di dubbio. Addirittura a un certo punto si trova, atterrito, di fronte all’idea che Hannah abbia flirtato realmente con Bryce lo stupratore, perché giudicare negativamente una ragazza che ha una normale vita sessuale è tipico della morale comune. Invece è ovviamente una scelta giusta perché Hannah diventa un personaggio meno passivo, meno dipinto come una vittima, che fa delle scelte, anche sessuali, legittime, e non stupide. Se proprio vogliamo ricordarci che è un prodotto per teenager, sceglie un bravo ragazzo per la sua prima volta e il messaggio che ne esce è bello, positivo, di scoperta. Peccato che tra i due ci sia zero chimica, zero tensione erotica, probabilmente perché lui è un attore un po’ monolitico. La storyline delle Polaroid e del Club serve solo a rendere il mostro ancora più mostruoso, ma il mistero non è particolarmente interessante, ci dice solo che è un modus operandi: il breve sibilante dialogo di Bryce con la madre raggiunge un impatto maggiore in pochi minuti. Poi c’è l’ultima puntata, dove prima ho pianto, poi mi sono messa una mano sulla bocca per non urlare dall’orrore, poi ho ballato su “Closer” di Tegan e Sara e ho pianto ancora sulla scena di “Take me back to the night we met”. La scelta di mostrare gli atleti che stuprano Tyler per vendicarsi di aver fatto perdere alla scuola la stagione di football è molto forte, perché è piuttosto “graphic”, come si dice, molto realistica, e arriva all’improvviso. È stata molto criticata, così come quando il suicidio di Hannah è stato mostrato nei dettagli nella stagione 1. Gli autori hanno difeso la loro scelta, sostenendo che non mostrare equivalga a non parlare, e che uno degli obiettivi della serie sia, al contrario, far visualizzare lo stupro proprio per non farlo passare sotto silenzio nella vita reale. Del resto all’inizio della puntata ci sono tutte le avvertenze, sai che stai per guardare qualcosa di violento e decidi se farlo o meno. Ovviamente per noi è molto più scioccante la violenza esibita delle conseguenze, perché non viviamo in un paese dove le armi le vendono al supermercato e i nostri figli non corrono il rischio di essere ammazzati a scuola da un compagno armato».

“Tredici 2” si svolge soprattutto in tribunale. Quale visione della giustizia emerge, secondo te?

«Esattamente quella che tutti si aspettano. Quella dove il ricco che è veramente colpevole si prende tre mesi e il povero senza famiglia accusato di favoreggiamento ne prende altrettanti. Dove la difesa della scuola cerca di screditare la credibilità della ragazza morta che non può difendersi. È una serie amara, e questa è una scelta di sceneggiatura coerente».

Prima le cassette e ora le polaroid: stavolta però sembrerebbe che, più che il dolore di Hannah, viene indagata la conseguenza psichica sulle persone attorno a lei, amici e parenti. Concordi?

«Dai racconti del processo si capisce che tutti quanti avevano una relazione più approfondita di quanto sembrasse con Hannah. Tutti più o meno le avevano chiesto scusa, in privato, nessuno stava apertamente dalla sua parte in pubblico. “Puoi correre finché vuoi non scapperai mai da quello che sei” O da quello che ti hanno fatto diventare».

Gli adolescenti sono al centro di “Tredici”. Qual è il mondo di oggi che viene ritratto?

«Cosa ci dice una serie come questa? Che i genitori non capiscono niente dei figli e che si bevono ogni versione che sia più rassicurante della verità? Può essere. Ci dice una serie di cose che sappiamo sulle “minoranze”, sulle donne, sui neri, sui gay, su chiunque sia vagamente “non conforme” rispetto a un canone di benessere e successo. “È sempre così se sei una ragazza. La gente ti giudica per il tuo aspetto, per quello che si dice di te. I ragazzi hanno la possibilità di definirsi, non sanno cosa vuol dire confrontarsi con il mondo. Ma ogni ragazza lo sa”. Questo accade dappertutto, da sempre: qui è solo drammatizzato, ma questa struttura sociale è universale, e ogni ragazza, nero, gay, lo sa. Tutti conoscono il codice non scritto. È decidere di non accettarlo il fattore che provoca il cambiamento. Ma la tentazione di stare comodi e uniformarsi è irresistibile, lo dice bene Zach, che pure è bello, popolare, sportivo: è lui quello che comincia a mandare a Clay le Polaroid per denunciare gli stupri ai danni delle ragazze troppo ubriache per reagire. Ma lo fa per interposta persona, “cuz I’m a fucking coward. And you’re not.” Invece un bel messaggio che emerge dalla serie è che l’amicizia sia qualcosa che riguarda il sacrificio. Che abbia valore, e che tutto quello che ha valore comporta fatica. “Gli amici che hai dicono parecchio sul tipo di persona che sei“».

Classe 1998, giornalista professionista dell'emittente televisiva Telelibertà e del sito web Liberta.it. Collaboratore del quotidiano Libertà. Podcaster per Liberta.it con la rubrica di viaggi “Un passo nel mondo” e quella d’attualità “Giù la mascherina” insieme al collega Marcello Pollastri, fruibili anche sulle piattaforme Spreaker e Spotify; altri podcast: “Pandemia - Due anni di Covid” e un focus sull’omicidio di via Degani nella rubrica “Ombre”. In passato, ideatore di Sportello Quotidiano, blog d'approfondimento sull’attualità piacentina. Ha realizzato anche alcuni servizi per il settimanale d'informazione Corriere Padano. Co-fondatore di Gioia Web Radio, la prima emittente liceale a Piacenza. Creatore del documentario amatoriale "Avevamo Paura - Memorie di guerra di Bruna Bongiorni” e co-creatore di "Eravamo come morti - Testimonianza di Enrico Malacalza, internato nel lager di Stutthof". Co-autore di “#Torre Sindaco - Storia dell’uomo che promise un vulcano a Piacenza” (Papero Editore, 2017) e autore di "La Pellegrina - Storie dalla casa accoglienza Don Venturini" (Papero Editore, 2018). Nel maggio del 2022, insieme ai colleghi Marcello Pollastri e Andrea Pasquali, ha curato il libro-reportage "Ucraina, la catena che ci unisce", dopo alcuni giorni trascorsi nelle zone di guerra ed emergenza umanitaria. Il volume è stato pubblicato da Editoriale Libertà con il quotidiano in edicola. Ecco alcuni speciali tv curati per Telelibertà: "I piacentini di Londra" per raccontare il fenomeno dell'emigrazione dei piacentini in Inghilterra nel secondo dopoguerra, con immagini, testi e interviste in occasione della festa della comunità piacentina nella capitale britannica dal 17 al 19 maggio 2019; “I presepi piacentini nel Natale del Covid”; “La vita oltre il Covid” con interviste a due piacentini guariti dall’infezione da Coronavirus dopo dure ed estenuanti settimane di ricovero in ospedale; il reportage “La scuola finlandese” negli istituti di Kauttua ed Eura in Finlandia.