curiosità
La lottatrice piacentina Mara Borella: «Conosco il bullismo, è un’esperienza bruttissima»
«Avevo la pelle scura e l’accento straniero, così venivo emarginata». Dietro a una donna tenace e ostinata come Mara Borella, la prima italiana ad aver gareggiato (e vinto) in UFC, c’è una storia di fragilità e debolezza.
«Avevo la pelle scura e l’accento straniero, così venivo emarginata». Dietro a una donna tenace e ostinata come Mara Borella, la prima italiana ad aver gareggiato (e vinto) in UFC, c’è una storia di fragilità e debolezza.
Nata trentadue anni fa a Ponte dell’Olio, la lottatrice ha trascorso due anni d’infanzia in Honduras – nazione da cui proviene la madre -, poi ha fatto ritorno nel quartiere Belvedere a Piacenza, dove ha conosciuto a proprie spese il fenomeno del bullismo e dove si è appassionata al judo «per trovare forza e sicurezza». Nel 2012, si è trasferita a Brescia per inseguire il suo sogno. Oggi vive a Coconut Creek in Florida e combatte nell’organizzazione di arti marziali miste statunitense capofila nel panorama globale. Tra gli impegni sportivi oltreoceano, il prossimo round che vorrebbe affrontare è quello contro il bullismo nel nostro territorio.
«Il bullismo inizia dalle parole e dai gesti discriminanti. Vorrei trovare un canale per rendere tutti gli individui uguali, bloccando alla radice la violenza. Bisogna educare e raddrizzare i bambini anzitutto dalla scuola». In che modo? «Organizzando lezioni pratiche, utilizzando lo sport come strumento di promozione etica e di rispetto e trasmettendo atteggiamenti positivi. Le arti marziali miste inculcano la disciplina nei confronti di chi si ha davanti e di ciò che si sta facendo».
Il proposito di Mara Borella parte da un passato personale indelebile. «Da piccola, a causa delle caratteristiche fisiche diverse rispetto agli altri, ho vissuto direttamente l’esclusione dei compagni di classe. In più, essendo quasi coetanea di mio fratello, a volte mi vestivo come lui. Mi sentivo isolata: a otto anni, non capivo perché dovessi stare da sola», racconta senza alcun freno. «Dopo il periodo nella scuola privata, mi sono iscritta a un istituto statale per tentare di amalgamarmi a un mix nuovo di razze e culture. Una mia parente sta subendo la stessa esperienza: ha voglia di integrarsi, è propositiva ed è brava a scuola, perciò viene emarginata. Non è la prima e non sarà l’ultima: il bullismo si propaga soprattutto in ambito scolastico, quando i più grossi si rivalgono sui più bravi. So cosa si prova, è un’emozione bruttissima».
In questo labirinto di sentimenti negativi, Borella ha trovato una via d’uscita nel judo: «Lo pratico con perseveranza da ventinove anni. Sul tatami si è tutti alla pari, senza distinzioni di sesso o colore. Si riacquista l’abitudine con gestualità ormai fuori moda: per esempio, si saluta l’avversario e si mettono in ordine le ciabatte attorno al materasso. Normalmente, mi alleno a Coconut Creek insieme ad atleti originari da tutto il mondo. Credo che questo aspetto sia propedeutico a contrastare il bullismo». Non tanto per le botte che s’impara a dare, quanto per l’acquisizione di consapevolezza dei propri mezzi.
La carriera dell’atleta piacentina
Mara Borella sta recuperando la condizione fisica in seguito a un infortunio al ginocchio: «Ho già ricominciato ad allenarmi, sto meglio. In questi mesi, ho disputato due incontri in UFC: non pensavo nemmeno di riuscire ad avvicinarmi al traguardo». Il prossimo appuntamento sul prestigioso ring ottagonale probabilmente sarà a dicembre, dopo l’epocale vittoria nello scorso ottobre per sottomissione contro Kalindra Faria di fronte 300 milioni di spettatori e la sconfitta incassata da Katlyn Chookagian in gennaio. «Faccio parte dell’American Top Team, una delle più importanti squadre di arti marziali miste. Mi esercito dalle 10 di mattina fino al tardo pomeriggio, alternando varie tecniche di combattimento a seconda del match in programma. Occorre una preparazione mentale intensa, mi assistono due mental coach. Si tratta del mio mestiere, devo essere assolutamente concentrata».
Ad alti livelli, infatti, bisogna fare i conti anche con il condizionamento della rete: «Su internet nascono forme di bullismo in cui chiunque si sente legittimato a screditarti. Mi hanno scritto che “faccio addormentare mentre combatto” e altre cattiverie. Due settimane prima di un match, mi scollego da ogni social network e cerco di meditare solo su me stessa». Insomma, attraverso questo percorso travagliato ma incoraggiante, Mara Borella vorrebbe trasmettere la sua energia ai bambini e alle bambine di Piacenza, la città in cui è cresciuta: «Sono disponibile a collaborare con le associazioni e a portare la mia testimonianza nelle scuole».
Thomas Trenchi
(Pubblicato sul quotidiano Libertà)