Cucina
Accordo di libero scambio col Canada, «salumi piacentini e grana padano poco tutelati»

Dei 44 prodotti a denominazione di origine protetta dell’Emilia Romagna, solo 12 vengono riconosciuti dal Ceta, mentre gli altri 32 (tra cui i salumi piacentini) non godono di alcuna tutela. Lo ricorda Coldiretti, intervenendo sulle conseguenze che sta avendo l’accordo di libero scambio tra Canada e Unione europea.
Sulla base dei dati Istat più aggiornati, in netta controtendenza all’aumento fatto registrare sui mercati mondiali, anche le esportazioni di Grana Padano e Parmigiano Reggiano in Canada sono crollate del 10 percento in valore e del 6 percento in quantità nel primo trimestre del 2018 rispetto al quello dell’anno precedente e si tratta del confronto più significativo per valutare gli effetti preliminari dell’intesa entrata in vigore in forma provvisoria solo il 21 settembre 2017.
«Con questo trattato l’Unione Europea per la prima volta autorizza all’estero l’utilizzo della traduzione inglese Parmesan del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, per formaggi che non hanno nulla a che fare con le due specialità Made in Italy più vendute nel mondo. Un precedente disastroso a livello internazionale, contro il quale si sono battuti da sempre i Consorzi di Tutela dei due formaggi che hanno proprio nelle imitazioni il concorrente più temuto all’estero. A diminuire in Canada sono state anche le esportazioni dall’Italia dell’intera categoria formaggi e latticini che risultano in calo in valore del 2 percento nel primo trimestre del 2018 rispetto allo stesso periodo dell’anno».
«Al contrario nei primi tre mesi del 2018 sono stati prodotti in Canada ben 3 milioni di chili di falso Parmigiano Reggiano (Parmesan), 2,3 milioni di ricotta locale, 970mila chili di Provolone taroccato senza dimenticare che ci sono addirittura 36,1 milioni di chili di mozzarella e ben 68mila chili di un non ben identificato formaggio Friulano, che certamente non ha nulla a che vedere con la Regione più a Nord est d’Italia, secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati dell’ultimo rapporto del Governo canadese. Questo accade perché in realtà sulla base del trattato oltre 250 denominazioni di origine (Dop/Igp) italiane riconosciute dall’Unione Europea non godranno di alcuna tutela sul territorio canadese mentre per la lista dei 41 prodotti Made in Italy ipoteticamente tutelati sono previste importanti eccezioni come il via libera all’uso delle traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori (un esempio è il parmesan) ma anche la possibilità per alcune tipicità (come asiago, fontina e gorgonzola) di usare per le imitazioni canadesi gli stessi termini se erano presenti sul mercato nordamericano prima del 18/10/2013 mentre se l’attività è stata avviata successivamente si dovrà semplicemente aggiungere una indicazione come “genere”, “tipo”, “stile”».
«Per l’Italia l’opposizione è quindi giustificata dal fatto che con il Ceta per la prima volta nella storia l’Ue legittima in un trattato internazionale – conclude Coldiretti – la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, un cavallo di Troia nei negoziati con altri Paesi, dal Giappone al Messico, dall’Australia alla Nuova Zelanda fino ai Paesi del Sudamerica (Mercosur) che sono stati così autorizzati a chiedere lo stesso tipo di concessioni».

Marco Casagrande e Filippo Gasparini di Confagricoltura Piacenza.
Confagricoltura Piacenza: «No al protezionismo, ma il Ceta può migliorare»
«Il made in Italy vende ogni anno all’economia nordamericana prodotti per circa cinque miliardi di euro, registrando un surplus commerciale bilaterale di più di tre miliardi – esordisce la nota di Confagricoltura Piacenza -. Stravince negli scambi con una delle economie più avanzate al mondo. Con il Ceta in vigore questa posizione di vantaggio ha iniziato a rafforzarsi. Uno dei principali problemi riguarda i formaggi: prima, nessuno era riconosciuto in nessun modo, ma secondo Coldiretti la difesa dei nomi di origine non è blindata e i canadesi continueranno a vendere parmesan. Malvisto poi anche il fatto che il Canada possa continuare a vendere il proprio grano duro, come fa già, ai produttori italiani di pasta. Poco importa, anche qui, che la produzione nazionale di grano copra appena due terzi del fabbisogno dei pastai e che l’Italia, grazie a spaghetti e maccheroni, fatturi in Canada oltre il triplo di quanto paghi per importare dal Nord America la materia prima».
«Se il tema è che l’accordo non tutela tutte le nostre produzioni Dop e Igp – commenta il direttore Marco Casagrande – allora è bene lavorare per miglioralo, ma non ratificarlo significherebbe scegliere di rinunciare a un mercato invece che cercare di presidiarlo. Le nostre eccellenze agroalimentari hanno dimostrato di saper veicolare il loro valore aggiunto rispetto ai prodotti similari realizzati su territorio canadese ed essere vincenti, sottrarci dal confronto significa abbandonare sbocchi commerciali già ottenuti. Come Confagricoltura siamo sempre stati favorevoli alla ratifica del trattato, pur nella consapevolezza che, come tutti gli accordi, può essere migliorato. Non è pensabile pensare di risolvere il problema dell’Italian sounding proibendo agli altri di produrre – prosegue Casagrande – dobbiamo puntare ad una comunicazione chiara e credere nelle nostre eccellenza. L’export di latticini, uova e miele verso il Canada è cresciuto del 10.42% in un anno, per i trasformati a base vegetale siamo oltre il 14 percento: un sistema incrociato di dazi affosserebbe le imprese».
«La nostra linea è chiara: non c’è dubbio che il mercato dell’agricoltura italiana debba essere, necessariamente, il mondo – sottolinea Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza. L’avevamo detto un anno fa, lo ribadiamo oggi – prosegue Gasparini – L’apertura di nuovi mercati rappresenta una priorità imprescindibile per l’agroalimentare italiano che vede le commercializzazioni nazionali ormai ingessate da anni. È impensabile – prosegue Gasparini – difendere la nostra agricoltura arroccandoci nei nostri confini, con posizioni di chiusura o di protezionismo, più intelligentemente è necessario adattarsi al mondo che cambia. Le nostre aziende fanno reddito anche e soprattutto quando riescono a esportare le proprie eccellenze in Paesi che hanno un numero di abitanti in continua crescita o un grande potere di acquisto, come appunto il Canada, che vanta uno dei più alti redditi pro capite al mondo. Ben vengano, dunque – conclude il presidente di Confagricoltura Piacenza – gli accordi che individuando nicchie di mercato sì, ma a livello globale».

Giampaolo Maloberti, presidente del consorzio La Carne Che Piace
Il consorzio La Carne Che Piace: «Penalizzante per agricoltori e allevatori»
L’accordo di libero scambio ha tenuto banco nel settore per tutta la giornata. È arrivato anche il comunicato del consorzio di allevatori e macellai La Carne Che Piace, attraverso il presidente Giampaolo Maloberti: «Siamo sicuri che a goderne sarà solo la grande industria, mentre le piccole aziende resteranno al palo e sulle tavole dei consumatori arriveranno prodotti di dubbia qualità. Se è vero che restano fermi gli standard ambientali e di sicurezza alimentare, occorrerà vigilare affinché gli stessi siano rispettati. I cibi canadesi distribuiti nel mercato Ue, afferma il trattato, dovranno rispettare i vincoli comunitari su ogm e ormoni della crescita. L’agricoltura italiana è vessata da tasse, leggi e vincoli, sia nazionali sia europei, senza pari. Non vorremmo che i produttori e i trasformatori italiani, nel nome del “libero e vantaggioso mercato” venissero invece penalizzati sempre più. Già nella Ue ci sono disparità enormi, ad esempio, fra il trattamento riservato agli allevatori italiani e a quelli di altri Paesi, soprattutto dell’Est. Questo incide sul reddito di chi alleva (carne, latte, suini) ma a nessuno sembra importare. Perché non si applicano in tutti gli Stati Ue i controlli certosini che subiscono gli allevatori italiani?».
