cultura
Nada a Cortemaggiore: «Quando si pensa di sapere tutto, c’è sempre altro da scoprire»
Le passa il telefono suo marito Gerry Manzoli, ex bassista dei Camaleonti. L’accento toscano è inconfondibile. «Sono Nada, dimmi». Disponibile ma frettolosa, soprattutto perché le nuvole iniziano a minacciare pioggia, mancano pochi minuti al concerto e lei deve correre.
Dalla frazione di Casteldardo a Cortemaggiore bastano due minuti in automobile. Ci vorrebbe più tempo per intervistare Nada Malanima, classe 1953, scrittrice e cantautrice che nel 1971 ha trionfato appena diciottenne a Sanremo con “Il cuore è uno zingaro” e che ha segnato un’epoca con i suoi brani “Ma che freddo fa” e “Amore disperato”, coltivando il desiderio di restare indipendente dalle logiche del mercato discografico. Dopo essersi riposata e rifocillata in un agriturismo a pochi chilometri dal paese, sta raggiungendo il chiostro dei frati per esibirsi al Fillmore Summer Festival, una rassegna musicale nata in memoria dello storico locale magiostrino che dalla fine degli anni Settanta è diventato una specie di istituzione per centinaia di cantanti e gruppi. Le passa il telefono suo marito Gerry Manzoli, ex bassista dei Camaleonti. L’accento toscano è inconfondibile. «Sono Nada, dimmi». Disponibile ma frettolosa, soprattutto perché le nuvole iniziano a minacciare pioggia, mancano pochi minuti al concerto e lei deve correre.
Come procede il suo nuovo album realizzato in collaborazione con John Parish?
«Devo ancora valutare la data d’uscita, probabilmente potrebbe slittare al 2019. La registrazione delle canzoni è terminata, ma devo ancora assimilarlo in pieno. È un album molto importante per me, che mi coinvolge a tutto tondo: ho la sensazione che sia l’essenza di ciò che ho prodotto negli anni».
Gli album e i cd sono ancora concetti attuali nel 2018, in un panorama musicale in profonda trasformazione?
«Vivo il mio momento e faccio ciò che mi sento di fare. È normale che ci siano tendenze diverse. Ma non so analizzare questo periodo storico e non mi interessa farlo».
All’età di 16 anni ha debuttato al Festival di Sanremo. Fu un successo pazzesco, cominciarono a chiamarla ovunque, ma ho letto che non fu facile sopportare la pressione mentale. Si definiva «prigioniera dello spettacolo». Oggi cosa suggerirebbe a un giovane che si trova catapultato nel mondo della musica?
«Non mi sento di dare alcun consiglio, ognuno deve essere esigente e onesto con se stesso, ascoltando il proprio istinto. Al di là della voglia, occorre la capacità di scegliere determinati percorsi con estrema consapevolezza. Capire i limiti è fondamentale».
Oltre alle canzoni, ha pubblicato tre romanzi e una raccolta di poesie. Rispetto alla musica, cosa trasmette attraverso i libri?
«I libri scavano maggiormente nell’animo, toccando radici e modelli custoditi dentro il nostro corpo. Cercano di capire i dubbi di un essere umano».
E cos’ha capito?
«Non so se ho capito, tento di fare qualche passo avanti. Quando si pensa di sapere tutto, c’è sempre altro da scoprire. Non bisogna mai smettere di mettersi in discussione».
In passato ha lavorato insieme a decine di figure famose: da Ron a Venditti, da Cocciante a Baglioni, da Celentano a Conte. Qual è stata la collaborazione più soddisfacente?
«Sono state tutte molto positive. Quella con Piero Ciampi, considerando la sua storia e la sua drammatica fine, mi ha lasciato un segno. Lo conobbi quando Ennio Melis, il capo della Rca, gli chiese di scrivere canzoni per me».
L’influenza di sua madre è stata forte. Allevava polli ed era una comunista convinta, con le idee ben chiare. Facendo un passo fuori dalla musica, come giudica la situazione politica attuale?
«Rifletto sulla mia attualità, non voglio guardarmi intorno. Se ognuno seguisse la propria politica di vita, ne gioverebbe la politica di tutti».
Thomas Trenchi
(Pubblicato sul quotidiano Libertà)