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Maria Vittoria Viviani, la giovane tennista piacentina che ha sposato la racchetta
Maria Vittoria Viviani nasce a Pavia nell’ultimo anno del secolo scorso. Si presenta al mondo il 24 febbraio, in tempo per vedere il grande ritorno di Andre Agassi nel tennis che conta e la meravigliosa finale di Wimbledon contro Pete Sampras. Insomma, un anno importante per il tennis, che forse gli amanti della racchetta italiani un giorno potrebbero ricordare anche per altri motivi, se la giovane giocatrice della bassa con origini piacentine confermasse con il tempo il proprio talento, mostrato a larghi tratti nella sua breve carriera. Noi di SportelloQuotidiano.com comunque abbiamo preferito fare un passo avanti, dandovi la possibilità di conoscere questa atleta dalle indubbie potenzialità.
Maria Vittoria, a che età è iniziato il tuo amore per questo sport?
«Ho iniziato a giocare a 6 anni, ma in realtà si tratta semplicemente dello sport che avevo scelto per fare un po’ di attività fisica dopo la scuola: lo praticavo una volta alla settimana, senza impegno, come è giusto a quell’età. Non era uno sport di famiglia tra l’altro, i miei genitori non hanno mai giocato, soltanto mia nonna da giovane… Nessuno comunque si aspettava nulla».
E quando hai capito che poteva diventare un impegno più serio?
«A nove anni ho iniziato a disputare i primi tornei a livello agonistico, giocando spesso con ragazzi più grandi di me e partecipando ai campionati nazionali under 11. Il primo grande cambiamento però è avvenuto quando all’età di dodici 12 anni: da Lodi, la mia città, mi sono spostata ad allenarmi a Milano, dove ho giocato per tre anni con il “Junior tennis” e un anno per la società canottieri.
Da lì il grande balzo…
«Sì, a quattordici anni sono entrata tra le prime ottanta migliori giocatrici d’Europa e ragionando con i miei genitori abbiamo capito che fosse giusto provare a investire su questa mia grande passione. Così a quindici anni ho smesso di frequentare la scuola e mi sono trasferita all’Accademia di Tennis di San Marino. Ho preso il diploma da privatista».
È stato difficile lasciare tutto per seguire questo sogno?
«È quello che voglio fare nella vita, quindi in realtà dedicavo già tantissimo tempo ad allenarmi e in giro per tornei. Però sì, non è stato facile, soprattutto perché ero molto piccola e vivere lontano da casa è stato un po’ traumatico all’inizio. Poi è stata dura anche per i miei genitori, hanno fatto tanti sacrifici per seguirmi, farmi allenare e partecipare ai tornei. È stata comunque una bellissima esperienza, perché ho potuto immergermi completamente nel mondo del tennis e imparare tantissimo».
C’è un giocatore a cui ti ispiri?
«In realtà non ho particolari modelli, cerco di prendere qualcosa di buono da ogni professionista che vedo giocare. I miei giocatori preferiti sono Nadal nel maschile e Azarenka nel femminile, ma sono più tifosa nei loro confronti che apprendista. Comunque guardo molto più tennis femminile, da quello posso imparare, anche se ovviamente non da tutte, ad esempio le sorelle Williams hanno uno stile di gioco impossibile per me».
Perché?
«Perché non ho il loro fisico e la loro potenza. Sono alta un metro e settanta e sono un po’ minuta. Ciò non vuol dire che lascio determinare il ritmo del gioco alle mie avversarie. Cerco di essere offensiva, insistendo più sulla tecnica con variazioni, smorzate o back».
Come ti trovi nei tornei internazionali?
«Ogni singolo torneo per me è un’esperienza speciale. Ho viaggiato tantissimo vedendo posti splendidi come l’Australia, gli Usa, il Venezuela… ecco, forse l’unico lato negativo è non poter dare il giusto tempo alla visita di questi luoghi magnifici, di cui conosco molto di più gli stadi e i campi che i monumenti e le città. Però la competizione in sé è bellissima, e possono nascere grandi amicizie al suo interno: i miei più cari amici, ad esempio, fanno tutti parte del mondo del tennis».
Agli Australian Open 2017 sei stata squalificata per aver colpito per sbaglio un raccattapalle con una pallina, scusandoti subito col giovane.
«Ormai ha senso pensarci solo per riderci su. Ho passato una settimana di fuoco subito dopo quell’episodio, ero sulla bocca di tutti ma ho ricevuto anche tanti messaggi di sostegno. È stato bello, perché ho capito che era chiaro a tutti l’errore arbitrale nei miei confronti e che facevo bene a sentirmi a posto con la coscienza. Poi ero già lì da tre settimane, dove avevo visto grandi giocatori e disputato match bellissimi, il mio ricordo si limita a questo».
Che programmi hai per il futuro?
«Adesso il mio obbiettivo è quello di provare a proseguire nel circuito WTA e diventare professionista a tutti gli effetti. Se non ci riuscissi, andrei a riconsiderare la possibilità di trasferirmi in America con una borsa di studio per continuare a giocare a tennis».
Per ora non la vedi come prima scelta?
«No, perché mi precluderebbe probabilmente la carriera professionistica. Intanto sto già frequentando l’università telematica qui in Italia, nello specifico la facoltà di scienze della comunicazione».
Come descriveresti il tennis in poche parole?
«È tutta la mia vita, che gira intorno a racchetta, rete e pallina. Ciò è possibile grazie ai miei genitori, alla fiducia che hanno sempre avuto nei miei confronti».
Davide Reggi