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Crollo del ponte Morandi, l’incontro a Genova con gli sfollati Graziella e Pasquale

Venerdì 24 agosto mi sono recato a Genova, dopo il crollo del viadotto autostradale. La città è ancora ammutolita. All’orizzonte, la sagoma mastodontica del ponte Morandi spezzato nel vuoto è angosciante.

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Crollo del ponte Morandi, a Genova ho incontrato gli sfollati Graziella e Pasquale

La città è ancora ammutolita. All’orizzonte, la sagoma mastodontica del ponte Morandi spezzato nel vuoto è angosciante. Sembra che manchi un tassello dal puzzle del panorama urbano. L’ombra delle macerie non si può eludere o ignorare. Da vicino, acquistano forza le immagini terrificanti viste e riviste nei giorni scorsi: la strada che si sbriciola, le auto che vengono inghiottite e la gente che scappa. Come macigni che gravano sul concetto stesso di civiltà, mettendo in dubbio uno dei simboli del progresso: il ponte, ideato nei secoli antichi per superare un ostacolo e far avanzare l’uomo. Ecco, quell’incredibile infrastruttura ora giace sospesa nel nulla, in mezzo a Genova, sopra la testa degli abitanti, trasmettendo un incredibile senso di impotenza.

Ecco l’intervista a Graziella e Pasquale (pubblicata sul quotidiano Libertà), due sfollati che non coltivano rabbia verso lo Stato ma gratitudine per i volontari che li hanno soccorsi. 


Crollo del ponte Morandi a Genova«La terra tremava, il viadotto si stava sbriciolando. Era la fine». Ripensando agli attimi in cui il ponte Morandi è collassato al suolo, c’è ancora il terrore negli occhi lucidi dei genovesi Graziella Pistorio e Pasquale Rainieri. Lo scorso 14 agosto, i due anziani vicini di casa – abitanti storici del quartiere di Certosa, nei palazzi gialli situati proprio sotto i pilastri del ponte – sono fuggiti a gambe levate, per scampare al pericolo di vedersi crollare la strada sulla testa. Forse, senza pensare che in quel momento avrebbero salutato per molto tempo (o addirittura per sempre) gli effetti personali, i gioielli di famiglia e le fotografie di una vita.

Graziella e Pasquale sono solo due degli oltre cinquecento sfollati che la comunità genovese sta gestendo in queste ore convulse: qualcuno è stato collocato negli alloggi popolari, altri da amici parenti o in hotel. «Durante il crollo del ponte, pioveva fortissimo – racconta Pasquale, che accetta l’intervista per potersi sfogare un po’ -. Graziella mi ha telefonato: “Stai sentendo il terremoto?”. Le ho risposto di sì, ma dopo due o tre minuti senza sosta non poteva più trattarsi di una scossa. Aprendo la finestra, abbiamo visto la tragedia. È stato spaventoso. Ci hanno detto di scappare, e così abbiamo fatto». Pasquale, da buon capo-scala, ha raccomandato ai condomini di non utilizzare l’ascensore. «Ero un carpentiere, avevo lavorato alla costruzione del ponte Morandi. Già allora, gli ingegneri sostenevano che il viadotto avesse una durata massima di trent’anni».

Prende la parola Graziella, con gli occhi inumiditi di chi ha appena smesso di piangere: «Ora viviamo in albergo insieme, siamo entrambi vedovi. Non dormiamo e mangiamo male. La preoccupazione non ci dà pace. Che fine faremo?». La protezione civile li ha avvertiti che domani potrebbero riuscire a recuperare biti e oggetti nelle abitazioni: «I palazzi purtroppo paiono destinati alla demolizione. Diventerà difficile quantificare il danno che devono risarcirci». Entrambi eleganti e dolci, nonostante le difficoltà vissute, i due anziani rientrano in hotel solo per dormire: «Al pomeriggio, girovaghiamo per Genova. Siamo rimasti con le stesse mutande addosso per una settimana. C’era una confusione enorme, per qualche giorno non eravamo né carne né pesce. Poi i parenti ci hanno portato la biancheria, i pantaloni e le magliette». Nessun rancore, ma tanta gratitudine «ai vigili del fuoco, alla polizia e ai volontari che ci hanno aiutato. Solo Dio conosce il nostro futuro».

Thomas Trenchi
(Pubblicato sul quotidiano Libertà)

Classe 1998, giornalista professionista dell'emittente televisiva Telelibertà e del sito web Liberta.it. Collaboratore del quotidiano Libertà. Podcaster per Liberta.it con la rubrica di viaggi “Un passo nel mondo” e quella d’attualità “Giù la mascherina” insieme al collega Marcello Pollastri, fruibili anche sulle piattaforme Spreaker e Spotify; altri podcast: “Pandemia - Due anni di Covid” e un focus sull’omicidio di via Degani nella rubrica “Ombre”. In passato, ideatore di Sportello Quotidiano, blog d'approfondimento sull’attualità piacentina. Ha realizzato anche alcuni servizi per il settimanale d'informazione Corriere Padano. Co-fondatore di Gioia Web Radio, la prima emittente liceale a Piacenza. Creatore del documentario amatoriale "Avevamo Paura - Memorie di guerra di Bruna Bongiorni” e co-creatore di "Eravamo come morti - Testimonianza di Enrico Malacalza, internato nel lager di Stutthof". Co-autore di “#Torre Sindaco - Storia dell’uomo che promise un vulcano a Piacenza” (Papero Editore, 2017) e autore di "La Pellegrina - Storie dalla casa accoglienza Don Venturini" (Papero Editore, 2018). Nel maggio del 2022, insieme ai colleghi Marcello Pollastri e Andrea Pasquali, ha curato il libro-reportage "Ucraina, la catena che ci unisce", dopo alcuni giorni trascorsi nelle zone di guerra ed emergenza umanitaria. Il volume è stato pubblicato da Editoriale Libertà con il quotidiano in edicola. Ecco alcuni speciali tv curati per Telelibertà: "I piacentini di Londra" per raccontare il fenomeno dell'emigrazione dei piacentini in Inghilterra nel secondo dopoguerra, con immagini, testi e interviste in occasione della festa della comunità piacentina nella capitale britannica dal 17 al 19 maggio 2019; “I presepi piacentini nel Natale del Covid”; “La vita oltre il Covid” con interviste a due piacentini guariti dall’infezione da Coronavirus dopo dure ed estenuanti settimane di ricovero in ospedale; il reportage “La scuola finlandese” negli istituti di Kauttua ed Eura in Finlandia.