testimonianze
Tre anni dopo l’alluvione, Martina Picca: «La mia casa spaccata in due e la vita da ricominciare da zero»
14 settembre 2015: il territorio piacentino, da Farini a Roncaglia, viene colpito da una tragica alluvione. Il Nure esonda, crollano case e strade. La testimonianza di Martina Picca, giovane residente di Farini.
Concretamente ora sono a Milano e sto aspettando il mio turno per fare un esame. Ma è abbastanza inutile fare finta di niente, con la testa sono da un’altra parte. Da me ci si aspetta quasi sempre qualcosa, risposte del tipo “tutto bene” alla domanda “come stai, adesso?”. “Ma si dai tanto ormai è passato.” Non c’è frase che odio di più al mondo. Ma torniamo indietro: tutte le volte che guardo questa foto sto bene, mi ricordo di quanto fossi felice quell’anno e quell’estate. 20 Agosto 2015, ultima foto di casa mia. Casa.
Per molti di voi, per tanti di voi che ho letto, sentito, guardato – purtroppo c’è questa cosa in me che non mi fa dimenticare neanche una parola detta in merito – era una casa. Punto. Ma non erano quattro mura, non si trattava solo di cemento e mi rendo conto di poterlo capire solo io, forse. Era la radice dell’amore di una famiglia e quando la pianta è stata spaccata in due, squartata, sradicata, mutilata mi ci sarei voluta seppellire per un attimo anche io.
Chiaro, a 17 anni il mio problema più grande la sera prima era la festa dei diciotto anni. La mattina dopo era rimanere viva. La vita. Quanto si riconsidera in certi momenti? Non starò qui ad elencare il malessere che mi trascino dietro da tre anni ma due righe le devo a chi (premetto, se vi sentite presi in causa ricordate che le sensazioni sono già mezze verità) saluta per la strada, finge un bel sorriso poi gira l’angolo e inizia a sputare sentenze: vi abbraccio forte. Vi ho guardati fin troppo in questi tre anni lavarvi la bocca con una pochezza ridicola, mi sono sentita dare della? Polemica, ruba soldi allo stato. Soldi? Ah già, il motivo per cui diventate bestie. Soldi. La cosa più importante in questa storia, o no? Il solito finto buonismo mi fa venire i brividi. Se ne avessimo solo la metà di tutti quelli che ci avete blaterato addosso ora sarei a sorseggiare un Mojito alle Bahamas e non a farmi il mazzo per mandare avanti la mia vita come ogni essere umano degno di essere chiamato tale. Grazie per i chiacchiericci da bar di chi ha la presunzione di sapere cosa si prova, di cosa sia fatta la nostra vita, di cosa voglia dire ricominciare da zero – poche balle, era da zero – con l’umiltà che ho visto solo negli occhi dei mie genitori. Grazie, vi stringo forte. È per quel veleno traboccante in ogni parola che dite da tuttologi, improvvisamente geologi, ingegneri, funzionari di qualsiasi genere, è grazie a voi che ho capito chi sono le poche, ma pochissime persone che meritano il bene che posso dare. Eternamente grata a voi, a chi c’è e c’è stato sopportando in silenzio i miei malumori e capendomi quando spalle al muro volevo solo picchiare due pugni contro il mondo. Niente, oggi sono incazzata. Passatemi il termine. La sono da tre anni. Ma è esserlo che mi ha dato la spinta ad andare avanti e ad essere migliore. Per fortuna non sono solo quello. Ma sono grata, ancora, alla vita che ho e che non ho perso in acqua e inferno quel giorno. Ma ricordiamo le cose per quelle che sono, per favore? Tre morti. Famiglie che attendono risposte, famiglie senza un fratello, un figlio, un marito, un amico. È una giustizia lenta, è più un flagello agoniante che un attesa di risposte lecite.
Ricordiamo anche le cose belle, neanche quelle mi dimentico. Persone, centinaia di persone che sono corse ad aiutare, a dare un sorriso, a portare conforto. Per sempre nel cuore.
Martina Picca
(residente delle zone piacentine alluvionate nel 2015)