curiosità
Pietro Satta, il Signore degli aquiloni che a 94 anni vola con i polpastrelli
Novantaquattro anni, due occhi che esclamano “quanto è bella la vita” e una passione incontenibile per gli aquiloni. Pietro Satta – pittore, scrittore, gallerista e soprattuto creatore di colorati quadrati di carta “volanti” – andrebbe ascoltato per ore e ore: «Ho attraversato due o tre guerre – quelle in Grecia, Abissinia e Albania – ma sono un uomo di pace, come Bertrand Russell. Ciò che sto per dire potrebbe sembrare un’utopia: il giorno in cui tutti gli individui posizioneranno sul proprio balcone una girandola con le tinte della pace, le guerre finiranno. Ne sono convinto».
Ricorda come ha imparato a dialogare con il vento attraverso i polpastrelli delle dita e come ha scoperto l’elisir per la giovinezza eterna dello spirito. Infatti, Satta, nato in Sardegna nel 1924 (i lineamenti del viso lo confermano), dimostra a dir poco vent’anni in meno: durante l’intervista scatta in piedi, si entusiasma, mima i protagonisti dei suoi racconti e i gesti tecnici con cui alza gli aquiloni nel cielo. E poi, all’improvviso, afferra il tablet e si collega a Facebook per mostrarmi le foto della scuola di aquiloni che conduceva in Veneto. È incredibile: ormai al traguardo dei cent’anni, è davvero capace di navigare su internet? «Sì, perché?», ribatte meravigliato. In fondo, Satta vuole ancora «leggere tra le righe del mondo», nonostante i segni dell’età, «e trasmettere agli altri ciò che mi arricchisce quotidianamente».
È difficile, se non impossibile, riassumere un’esistenza in poche righe. Si può provare a seguire il solco impresso nel cielo dai suoi aquiloni: «Nella mia infanzia in Piemonte – rammenta Satta con una piccola dose di malinconia – io e i miei amici realizzavamo gli aquiloni con una carta pesante da macellaio, le stecche metalliche degli ombrelli e la farina riscaldata come colla fai da te. Correvamo fortissimo per riuscire a farli volare. Spesso si rompevano, li perdevamo e ricominciavamo da zero. Diversi anni dopo, quando abitavo a Tiene, mio figlio vide altri bambini che giocavano con gli aquiloni e mi chiese di realizzargliene uno. Andai sul terrazzo per mostrargli il mio aquilone, che tuttavia cadde presto per terra. Da quel momento, iniziai ad approfondire i materiali di lavorazione migliori per riuscire a partorirne uno leggero e versatile. Un giorno, sperimentai con successo il filo per imbastire, formato da un cotone grezzo sottilissimo e impiegato come “briglia” per l’aquilone: si elevava con un accenno d’alito, anche se alla minima manovra brusca rischiava di spezzarsi».
Ecco perché è fondamentale ascoltare il vento, comprendendo quando occorre srotolare o riavvolgere il mulinello. Tuttora, quasi ogni sera, con lo stesso «filo di cotone grezzo sottilissimo», Satta sfodera un aquilone («nella mia vita ne ho costruiti più di mille, in casa ne ho un centinaio») e va a pilotarlo nei giardini alla Besurica. La sua badante è diventata una sorta di assistente di volo, tanto che normalmente si posiziona a qualche metro di distanza e – quando intravede un soffio di vento dal movimento delle foglie – fa un cenno al Signore degli aquiloni. «Per la realizzazione, utilizzo un fazzoletto quadrato di carta velina con i lati di cinquanta centimetri, simile a quello degli addobbi natalizi. È essenziale attenersi alle misure millimetriche, senza sgarrare. Formo una diagonale e un archetto con i bastoncini di ramino larghi due millimetri. L’aquilone è dono di Dio, con cui hi instaurato un rapporto unico. Mi ha fatto bene alla salute. A volte gli parlo, scioccamente, quasi fosse una mia creatura».
Satta («l’uomo che farebbe volare anche un ferro da stiro», come l’ha definito una passante incantata dalle sue prodezze) ha inventato vari esemplari di cartapesta, tra cui alcuni aquiloni rammendati con una vecchia macchina da cucire modello Singer: «Amo dare nomi poetici ai miei aquiloni. Alla sommità della coda, aggancio un pezzo di carta argentata luccicante che, riflettendo la luce del sole, permette di non perdere di vista l’aquilone ad alte quote». E poi, con una coda di seta lunga sessantotto metri, il Signore degli aquiloni è in grado di volteggiare nell’atmosfera e disegnare il simbolo dell’infinito o la parola “Amo”, incollando gli sguardi dei bambini verso l’alto. Nel 1998, Satta – con il libro “E per aquilone la luna” – ha messo nero su bianco le avventure vissute con il mulinello tra le mani. Sono celebri le altezze che il Signore degli aquiloni ha raggiunto con uno dei suoi manufatti preferiti, “Aquila bianca”: nel 2001 ha superato le nuvole a una quota di 6.974 metri, sfiorando l’inimmaginabile e battendo il record mondiale conquistato da egli stesso nel 1991 (4.846 metri). Tra l’altro, in quel frangente ha sorpassato anche il padre Angelo Maria, ex aviatore nella prima guerra mondiale, che solcava i cieli a un’altitudine massima di 5.800 metri.
Ora Satta, pur essendo rimasto vedovo, non ha perso la voglia di mettersi in gioco con la freschezza e la smania di un diciottenne: «Sono sordo e testardo, non voglio installare l’apparecchio acustico perché ho paura di perdere la pazienza con i malfunzionamenti tecnici e le batterie che si scaricano. Preferisco chiedere all’interlocutore la cortesia di alzare la voce». L’intervista termina di fronte a un’ottima crostata di prugne e un brusco superalcolico color violetto. Il Signore degli aquiloni vola con la mente, i sogni, il cuore. E vorrebbe insegnare a battere le ali di cartapesta a qualche concittadino: «Vorrei morire con la sicurezza che alla Besurica si formi un gruppo di “aquilonisti” appassionati e seri, capaci di insegnare quest’arte ad altre persone. Lascerei in eredità i miei trucchi, senza pretendere nulla in cambio. Magari, perché no, mi piacerebbe assistere all’apertura di una stanza comunale per aquiloni nel quartiere, dove depositare le proprie creazioni al sicuro».
Thomas Trenchi
(Pubblicato sul quotidiano Libertà)