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Ilaria Muresu: convivo con la scoliosi e una neuropatia, ma amo la vita
Nulla può mettere in ginocchio una ragazza di vent’anni che ama la vita, lo sport e i sorrisi. Non è una di quelle massime filosofiche che rischiano di cadere nel vuoto, ma l’esperienza reale di Ilaria Muresu, classe 1998, che ogni giorno lotta contro una neuropatia sensitiva, una sordità profonda e una forma di scoliosi grave di 135 gradi, peggiorata in seguito a un contorto intervento chirurgico subìto sette anni fa a Trieste. E che – nonostante ciò – ha praticato la scherma, cura un blog personale, vorrebbe lavorare come educatrice penitenziaria nelle carceri minorili e sogna di paracadutarsi. Da pochi giorni, Ilaria, nata a Venezia e cresciuta in Sardegna, si è iscritta al corso di scienze dell’educazione all’università Cattolica di Piacenza. Un’ulteriore sfida che ha deciso di affrontare a testa alta, in quello che lei definisce «il secondo capitolo della mia vita, iniziato dal calvario della sala chirurgica». Un periodo in cui non sono mancati i pregiudizi, che una volta su Facebook la giovane ha smorzato così: «Chiunque ha dei limiti. In fondo, essere sordi è divertente: quando ho il mal di testa, tolgo le protesi e mi isolo dal mondo. In silenzio, soltanto con i rumori del sorriso».
Con quali problemi fisici convivi?
«Soffro di una neuropatia sensitiva di tipo II, una sordità profonda e una scoliosi dalla nascita. All’età di 12 anni, mi sono sottoposta a un’operazione d’urgenza alla colonna vertebrale a Trieste. Un episodio che purtroppo mi ha portato al peggio: diciotto ore d’intervento, un arresto cardiaco di novanta minuti, due paralisi e tre o quattro giorni in coma farmacologico. Pensavano che non mi sarei più svegliata. In totale, sono rimasta per un mese e mezzo nel letto d’ospedale. Sono viva grazie al medico della rianimazione. Ora, purtroppo, mi ritrovo ad avere gli organi compromessi e grosse difficoltà a respirare. L’ho vissuto come uno shock. Ma ora il mio dovere è quello di aiutare gli altri psicologicamente a superare questi timori. La paura ci rende davvero forti».
Hai reagito anche attraverso la scherma, diventando una fiorettista paralimpica a Nuoro e conquistando grandi traguardi a livello nazionale.
«Mi sono avvicinata alla scherma grazie a mio cugino, che tira di fioretto. Mi piacerebbe provare a passare alla sciabola, che è un po’ più facile e meno pesante come armatura. Da due anni però, a causa delle difficoltà respiratorie, ho preso una pausa con lo sport. Resta la mia più grande passione. Inoltre, ho scelto di iscrivermi all’università a Piacenza. Nonostante i tanti ostacoli, penso che me la caverò. Adesso sono costretta a viaggiare da pendolare due volte al mese dalla Sardegna, perché – non essendo del tutto autonoma – non ho trovato una struttura adatta in città».
Nel 2013, la tua casa è stata travolta dall’alluvione in Sardegna. Quali particolari ricordi?
«È stato un incubo. Quel giorno, io e miei genitori pensavamo che fosse sufficiente ripararsi tra le mura domestiche con i tappeti sotto le porte. Invece, no: la mia abitazione è andata distrutta. È tornata abitabile dopo sette mesi. Tuttora, i muri sono inumiditi».
Hai saputo dar voce a te stessa, a un sentimento che forse è riduttivo riassumere solo nella parola “coraggio”. Cosa vorresti trasmettere ai tuoi coetanei?
«Da qualche tempo, mi occupo di tranquillizzare le ragazze che devono subire un intervento chirurgico. Ne vado felicemente orgogliosa. Per me invece non c’è più nulla da fare, la mia schiena si è cimentata come una pietra e non si può aggiustare. Non vivo la disabilità come una lotta estrema contro le avversità della vita, ma cerco di prendere ogni piccola sofferenza e sconfitta con ingegno e arte».
Thomas Trenchi
(Pubblicato sul quotidiano Libertà)