cultura
«“T’é bein luch” sarà sempre meglio di “Sei ben simpatico…”». Il valore del dialetto

Ci sono sfumature della vita che solo il dialetto sa cogliere al meglio. Si può, per esempio, dire banalmente che una donna è elegante e appariscente; ma un altro conto è descriverla “tütt inghirlandä”. Pietro “Pedar” Rebecchi è uno dei massimi custodi del vernacolo piacentino: «È la lingua della mia infanzia, mi ha sempre accompagnato in ogni momento vissuto. Penso, scrivo e parlo in dialetto». “Pedar” – grande tifoso del Piacenza Calcio, nonché autore e attore teatrale della “Famiglia Piasinteina” – collaborerà con il sito internet #ParlummPiasintein (in fase di realizzazione), una pagina online promossa e finanziata dall’amministrazione comunale come strumento per la diffusione della varietà della lingua emiliana in uso a Piacenza e provincia. «Credo che sia una volontà precisa da parte delle istituzioni di non disperdere e abbandonare le nostre tradizioni, rivolgendosi in particolare ai giovani».
Qual è il valore del dialetto?
«La lingua piacentina è il reperto più antico del territorio, forse anche più dei monumenti e delle opere d’arte. Nel tempo, trattandosi di un idioma principalmente tramandato a voce, è stata soggetta a numerosi cambiamenti. Dimenticarsene vuole dire trascurare le nostre radici, con il rischio che tra cent’anni non esista più nessuno in grado di trasmetterlo. Sarebbe gravissimo, in un’epoca dove le comunicazioni e gli insegnamenti avvengono ormai in tempo zero».
In che modo è possibile riavvicinare le persone al vernacolo?
«Bisogna recarsi nelle scuole a parlare in dialetto, organizzare iniziative pubbliche e, soprattutto, continuare a vederlo e sentirlo ovunque. Insomma, traducendo le pubblicità, i cartelli stradali, le radio, la tv e i giornali in piacentino».
Quali sono gli errori comuni commessi dalla gente?
«È pericoloso addentrarsi in questo ragionamento, perché ciascuno ha il proprio idioma di riferimento a seconda delle origini geografiche. Personalmente, parlo un dialetto intramurario, differente rispetto a quello bettolese o pontenurese. Occorre fare attenzione a non tradurre certe espressioni dall’italiano. Ad esempio, il verbo “ha litigato” diventa “l’ha tacä da lid”. Inoltre, mi infastidiscono alcuni utenti dei social network che associano il dialetto esclusivamente a vignette sconce. E poi perché sul web si cerca di non sbagliare la frase “I love you”, ma non si bada alla correttezza ortografica di “At vöi bein”?».
A quali parole non si potrebbe proprio fare a meno?
«Un piacentino non dirà mai “Sei ben simpatico…”, ma ricorrerà all’immancabile “T’é bein luch”».
Pedar, quali altre sensazioni quotidiane passano attraverso il vernacolo?
«Ci sono stati d’animo ed emozioni particolari che in italiano sarebbero difficilmente definibili. Un uomo grossolano è “rüstich cmé ‘l purton d’ un tribünäl”. Oppure, quando si vuole fare un complimento a una donna carina e minuta, si ricorre all’aggettivo “cirlinein”».
Thomas Trenchi
(Pubblicato sul quotidiano Libertà)
