Cucina
Torta di patate di Mareto, la tappa finale del tubero del “Nuovo mondo” sulle colline piacentine
La torta di patate è la migliore espressione di un prodotto che, in un lungo viaggio geografico e temporale, ha trovato compimento insieme a porri e formaggio all’interno di una sfoglia grezza e croccante.
La patata non è un tubero nostrano, o per lo meno non di origine autoctona: il viaggio di Cristoforo Colombo e le altre spedizioni nel “Nuovo mondo” possono ampiamente dimostrarlo. Certo, i dubbi sono leciti, trovandosi in un territorio – quello delle colline piacentine – tanto perfetto per coltivarla. Al primo posto, neanche a dirlo, c’è Mareto, frazione del comune di Farini posta a 955 metri d’altitudine, uno delle zone più elevate dell’Alta Valnure.
La scoperta di questa predisposizione è da imputare al professor Alberto Moia, che spinto dalla passione per questo luogo così isolato (dedito all’allevamento e con pochissime colture), ha deciso di analizzarlo agli inizi degli anni Sessanta. Mirava a offrire una nuova possibilità agli abitanti, che permettesse loro un futuro più roseo in un momento in cui l’allevamento di montagna stava progressivamente diminuendo. A quel punto, Moja ha iniziato le sue “cattedre ambulanti”: lezioni itineranti nei terreni agricoli sulle tecniche di coltura, con un buon successo tra la gente del posto. L’interesse cresceva e il passaparola aumentava, portando sempre più coltivatori a togliere un pezzo di terra dall’interesse degli animali per far posto alle prime patate. All’origine, queste colture provenivano da sementi e varietà di pianura.
Le sperimentazioni e gli studi genetici hanno lentamente dato vita quattro principali tipologie di patata, sviluppatesi nella zona. Anzitutto, occorre segnalare la Primura, caratterizzata da maturazione precoce per l’ambiente di montagna (la raccolta avviene circa in contemporanea rispetto a quelle effettuate in territori con climi meno rigidi). Ecco poi le varietà che maturano in modo tardivo: un “suicidio economico” verrebbe da pensare, se non fosse per il loro gusto di livello superiore.
La Kennebec, più farinosa, è come una spuma setosa che avvolge il palato, ed è adatta a essere unita alla farina per la preparazione di gnocchi o pane, preparazioni tipiche di ogni casa maretese. La Spunta e Desirèe sono invece più corpose e sode, perfette quindi per la loro consistenza fragrante a frittura e cottura arrosto. Per valorizzarle tutte insieme, Angelo Sidoli, successore di Moia alla guida dell’ente di formazione di Coldiretti, ha avuto l’idea di organizzare una festa, da svolgersi l’ultima domenica di settembre.
«La manifestazione si svolge ininterrottamente dal 1965 e da noi abitanti è vissuta come un momento di grande importanza – spiega Andrea Chiappelloni, la cui famiglia è stata una delle prime a impegnarsi in questa coltura – È il frutto del lavoro di un anno intero, delle scommesse fatte sulle nostra terra». La gara tra le migliori patate di Mareto sembra solo una formalità scherzosa, dato che tutti si aiutano al momento della semina, del rincalzo (copertura della pianta con la terra per proteggerla dalla luce) e della raccolta. Chiappelloni conclude con un po’ di rammarico a proposito dello «scarso ricambio generazionale», evidenziando comunque una grande soddisfazione: «Riuscire a portare 150 persone a Mareto ogni anno per la festa è sempre un successo e chissà che la crescita dell’interesse possa portare un giorno alla nascita di un consorzio e ad un ampliamento della produzione».
In fondo, la torta di patate è la migliore espressione di un prodotto che, in un lungo viaggio geografico e temporale, ha trovato compimento insieme a porri e formaggio all’interno di una sfoglia grezza e croccante.
Davide Reggi