Cucina
Gelatina d’uva, mosto cotto e saba: delizie piacentine nate dall’ingegno contadino
NUTRENDO LE RADICI – L’uva richiama il vino: è il suo prodotto principale, il più conosciuto. Ma non solo! In che modo l’uomo, nel corso dei secoli, ha deciso di valorizzare questo prodotto?
L’uva richiama il vino: è il suo prodotto principale, il più conosciuto. Per questo esiste l’uva da tavola e quella da vino, varietà differenti, selezionate con cura nel tempo, per come l’uomo ha deciso di valorizzare questo prodotto. Semplice o come bevanda alcolica, senza vie di mezzo, senza mezze misure o semilavorazioni. Oggi forse, mentre il mercato ci mette a disposizione abbondanza ed esotismo, non ieri.
Un tempo passato in cui l’uva era usata in mille modi, vuoi perché i vigneti si avevano dietro casa, nell’orto, e il vino prodotto da un singolo filare è assai poco, vuoi perché l’uva è un frutto splendido e non usarlo sarebbe stato un peccato.
Questi forse sono stati i pensieri dei piacentini tra settembre e ottobre fino a qualche decennio fa, sicuramente il secondo è passato nella testa di Maestro Martino da Como, quando nel XV secolo ha scritto il suo ricettario. Una ricetta in particolare ha attecchito nel nostro territorio, una salsa di accompagnamento alla carne, progenitrice di quelle sopravvissute fino ad oggi per accompagnare il bollito.
L’uva nera veniva bollita con pane, aceto e spezie secondo un gusto antico che prediligeva il gusto dolce e vedeva le spezie come indicazione di ricchezza e status sociale elevato. Visconti prima e Farnese poi avranno sicuramente apprezzato, ma non tanto da fissare questa ricetta nella nostra cultura, che la ricorda solo come testimonianza dei tempi remoti. Ricordi più vividi, anche se oggi un po’ sbiaditi, si hanno invece di preparazioni popolari, vere proprie delizie basate sull’ingegno contadino.
La gelatina d’uva e il test del cucchiaio…
Innanzitutto la gelatina d’uva, che se fatta partendo da un vitigno con uve aromatiche, come ad esempio la nostra Malvasia, può essere riscoperta in chiave moderna, come perfetto accompagnamento ai formaggi. Gli acini devono essere cotti interi per circa una ventina di minuti, fino a che la pressione li porta ad aprirsi in modo spontaneo. Li si schiaccia quindi con un cucchiaio di legno per altri dieci minuti e li si filtra tramite un setaccio o un passaverdure. Aggiunto lo zucchero, in una quantità di circa tre quarti rispetto al succo filtrato, si rimette in cottura schiumando spesso. La gelatina sarà pronta quando, messa una goccia su un piatto inclinato, non cadrà e si rapprenderà velocemente. Sarà dunque il momento di metterla in vasetti, per conservarla magari accompagnata da una foglia di menta.
La saba e il mosto cotto
Concetto simile ma semplicità estremizzata per la saba, succo d’uva ridotto abbondantemente sul fuoco fino a diventare un sugo denso. L’utilizzo più piacentino è sicuramente insieme alla Spongata, torta riccamente farcita con marmellata, pinoli, mandorle e frutta candita, che ha anche ottenuto il riconoscimento di PAT (Prodotto agroalimentare tradizionale) per la nostra provincia. Ma non sfigura neanche sul gelato o diluita, come bevanda dissetante.
Infine, non può essere dimenticato il mosto cotto, uno dei ricordi più dolci della vendemmia autunnale, che purtroppo è andato via via scomparendo nel corso degli ultimi anni. La ricetta riconosciuta come PAT prevede la cottura del mosto, dopo la filtratura, insieme a farina, scorza di limone, chiodi di garofano e cannella. Si deve quindi versare il composto in appositi stampi per farlo raffreddare: ottenuta la consistenza simile a quella di un budino lo si può mangiare accompagnato da qualche ciuffo di panna montata.
Davide Reggi
SportelloQuotidiano.com