cultura
Da teatro a “discarica a cielo aperto” in pieno centro storico. Che fine ha fatto il decoro degli spazi urbani?
CARAMELLE AGLI SCONOSCIUTI, rubrica a cura di Michela Vignola – Caramella amara, questa. Nata da alcune segnalazioni viste sui social network dello stato di abbandono in cui versa lo sbocco della galleria del Politeama, su via San Siro. Graffiti, rifiuti, avanzi di cibo, una bottiglia di Coca Cola finita, issata non so come su una trave e divenuta ormai installazione permanente, automobili in perenne divieto di sosta sul marciapiede, a cui si uniscono in genere mandrie urlanti di adolescenti (ma questa è un’altra partita).
C’è qualche cosa di scientifico, ai giorni nostri, nell’ignorare, dimenticare e deturpare la bellezza del passato. Non c’è nulla di male – e non si può fare diversamente – nell’accostare antico e moderno, ma se quest’ultimo è costruito senza alcun criterio estetico e poi lasciato andare all’oltraggio del tempo, del malcostume e del dilagante vandalismo, allora la situazione si fa drammatica.
Caramella amara, questa. Nata da alcune segnalazioni viste sui social network dello stato di abbandono in cui versa lo sbocco della galleria del Politeama, su via San Siro. Graffiti, rifiuti, avanzi di cibo, una bottiglia di Coca Cola finita, issata non so come su una trave e divenuta ormai installazione permanente, automobili in perenne divieto di sosta sul marciapiede, a cui si uniscono in genere mandrie urlanti di adolescenti (ma questa è un’altra partita). Il tutto a due passi dal prestigioso “salotto cittadino”, il Corso Vittorio Emanuele e le sue eleganti proposte di shopping, a pochissima distanza dal Teatro dei Filodrammatici, dal Conservatorio Nicolini e dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi: ovvero, un’area clou della cultura piacentina. Come biglietto da visita, lo definirei quanto meno inadeguato. A essere gentile…
La bellezza (non) è negli occhi di chi (non) guarda
Alzi la mano chi (a parte la sottoscritta), passando in via San Siro o uscendo dal cinema, non si percuote ogni volta il petto con dolore e frustrazione per quello stato di incuria e abbandono; chi, almeno una volta, ha sollevato lo sguardo dietro alle scritte di vernice spray, dietro al cemento incombente e malandato, dietro ai cartelli del parcheggio sotterraneo, dietro a tutto, insomma… ed ha ammirato la facciata di quello che era il Teatro poi trasformato in cinema. In quanti?
Lo vedete? E’ bianco, imponente, con lunghe file di finestre e un timpano sovrastante, con uno stile difficile da definire architettonicamente, una sua dignità di liberty composto, deturpato anche – altro mistero – da una riproduzione grafica di Napoleone a cavallo, che campeggia, per l’osservatore, in alto a sinistra. Forse la minaccia, o l’auspicio, di una nuova invasione francese.
Un piccolo viaggio nel tempo della Piacenza che fu
Ma lasciamo il presente e facciamo due passi nel passato, che non è mai una cattiva pratica. Questa zona della città, come tante altre a Piacenza, con la calata, appunto, del generale Bonaparte vide la soppressione di molti monasteri e la loro trasformazione, dopo la cacciata dei francesi, in spazi teatrali. E’ andata così anche per l’ex convento di San Raimondo, che all’epoca della sua costruzione si estendeva quasi a lambire via Santa Franca. Oggi resta la piccola chiesa barocca sul Corso, che ospita le reliquie dei due santi (San Raimondo e Santa Franca).
Ebbene, su quest’area nel 1822 venne costruito il primo “teatro diurno” della città, presumibilmente in stile neoclassico, di cui non restano descrizioni dettagliate o planimetrie. Sappiamo che molti teatri diurni, frequenti all’epoca, erano edificati in forma di arene: erano cioè spazi scoperti, di grosse dimensioni, sia in muratura che in legno, di forma circolare o ellittica, muniti il più delle volte di un gran numero di posti in platea e di logge, palchi, gallerie e loggioni. Si trattava di edifici estremamente precari e facilmente infiammabili, essendo il legno il materiale predominante, e in cui erano soprattutto le facciate, generalmente le sole in muratura, a richiamare le antiche costruzioni greche e romane, con statue, timpani, porticati e colonne.
Il teatro subì in seguito un’importante trasformazione da parte del nuovo proprietario che ne fece risistemare la struttura e lo fece diventare uno dei teatri più frequentati e più alla moda di tutta la città. Nel giugno del 1861, un “inverosimile manifesto cubitale” – come ci ricordano le cronache di allora – annunciava che nel precedente Teatro Diurno in San Raimondo era stato aperto il nuovo Teatro Diurno Nazionale, detto anche Arena Nazionale. Gli affari non dovevano andare male, anche perché i piacentini sembravano gradire gli spettacoli all’aperto e avevano premiato l’impegno dell’impresario nell’allestire un teatro esteticamente molto gradevole.
Nonostante tanti anni di intensa attività e il passaggio di mano tra diversi imprenditori, non restano molti scritti che documentino la vita del teatro, se si escludono alcune informazioni relative alle vicende dell’edificio e ai suoi continui lavori di restauro e consolidamento. Le strutture dei teatri scoperti, infatti, andavano incontro a un rapido deterioramento, a causa degli agenti atmosferici e in particolar modo dell’umidità, che gonfiava e incurvava irrimediabilmente il legno delle panche e delle tavole del palcoscenico. Il clima piacentino non era di certo il più favorevole ad una lunga durata delle attrezzature del teatro.
La nascita del Politeama
Poche stagioni dopo, infatti, nell’ottobre del 1881, fu realizzata la copertura del tetto, con la conseguente radicale trasformazione dell’edificio, che già proiettava il vecchio teatro verso un ulteriore sviluppo: all’Ing. Giannantonio Perreau fu ben presto affidato il progetto per edificare su quella stessa area il Nuovo Politeama Piacentino, che è ancora oggi esistente, seppur – come abbiamo visto – assediato dagli orrori della modernità.
Il Teatro fu inaugurato, per la terza volta, nel febbraio del 1883, e i piacentini vi assistettero per almeno ottant’anni alle esibizioni delle maggiori compagnie di operetta e varietà, di rivista e avanspettacolo. Fu poi il genere stesso a declinare e, lentamente, a scomparire, mentre il Politeama, nuovamente rinnovato nel 1947, è ancora uno degli spazi più attivi della città e svolge la funzione di cinematografo, teatro e sala per concerti.
Cosa vogliamo fare?
Ricapitolando, la progressione di molti spazi piacentini negli ultimi due secoli, con alcune variabili, risulta più o meno la seguente: edificio religioso, spazio militare, teatro, cinema, negozio o parcheggio. Personalmente, lo vedo un climax in picchiata, più che discendente! Tra gli esempi sotto gli occhi di tutti, i defunti cinema Apollo, Plaza (che molti non più giovanissimi ricorderanno) e Iris, ma anche la Cavallerizza, spazio affascinante divenuto tempio di altra arte, non più equestre ma gastronomica. Paradossalmente è andata meglio all’ex Macello divenuto Università e area per attività culturali. Aspettiamoci un bell’ipermercato a Palazzo Farnese e la trasformazione in società dell’ignoranza sarà completa. A meno che non cominciamo a difenderci, osservando con occhi attenti e non distratti la condizione della nostra città, riscoprendo la sua integrità, cancellando tutto ciò che bellezza non è.
Michela Vignola