Cucina
I primi piatti piacentini: creatività, tradizione e alcune curiosità sconosciute…
Vivere a Piacenza significa basare le proprie certezze su dei piatti cardine della tradizione. Piatti che tutti sono pronti a citare e difendere in ipotetiche sfide con altre città, le classiche sfide tra campanili che caratterizzano l’Italia, a cui la nostra città si approccia facendosi forza su due trinità fondamentali: i nostri salumi DOP e i tre primi più famosi e apprezzati, anolini, tortelli e pisarei. Proprio riguardo quest’ultimi forse non tutti sanno che il nome deriva dalla abbreviazione dialettale di pisciarelli: “pisellini” di bambino, a cui effettivamente la forma della pasta richiama, e che nella tradizione hanno sempre avuto un ruolo importante nella formazione delle nuove famiglie. Si narra infatti che quando un ragazzo presentava alla famiglia la fidanzata , per ottenere il consenso allo sposalizio, la suocera controllasse il pollice destro della ragazza. Se su esso apparivano piccoli calli, segno evidente di esperienza nel confezionamento dei pisarei, la fanciulla possedeva le premesse necessarie per essere una brava cuoca e il matrimonio era quindi auspicato e ben voluto.
Ma non di solo pisarei, e degli altri due membri della trinità, vive la cucina piacentina. Essa ha infatti sviluppato una particolare predisposizione per i primi piatti, una creatività espressasi con lo scorrere dei secoli nelle diverse zone e valli in varie forme, forse meno conosciute ma comunque degne di nota, considerazione ed eventuale riscoperta. Innanzitutto i maccheroni alla bobbiese, già citati da Bartolomeo Scappi nel suo trattato di cucina del 1570. Il cuoco delle cucine vaticane descrisse già allora il particolare metodo di formatura della pasta, tramite l’arrotolamento di piccole striscioline intorno ad un ferro da calza fino ad ottenere un qualcosa di simile agli attuali bucatini. Il condimento era ed è tutt’ora un classico sugo di funghi, tipico delle zone montane dove essi vengono raccolti freschi.
Rimanendo sempre in Val Trebbia e spostandosi un po’ più in alto, precisamente nella zona di Cerignale, ci si può imbattere nei Pin, piccoli gnocchetti a base di erbette soffritte impastate insieme a ricotta, grana, pangrattato, uova e farina. Ciò che si ottiene ricorda molto il ripieno dei tortelli con la coda, da cui appunta deriva il nome – pieni in dialetto – e la preparazione è altrettanto analoga: bollitura rapida in acqua e condimento con burro fuso e grana grattugiato. Tornando poi verso zone più pianeggianti da segnalare sono le mezze maniche da frate ripiene, una pasta ripiena di carne di manzo e cotta nel brodo, recentemente denominata Prodotto Agroalimentare Tradizionale, e infine i panzerotti alla piacentina.
Essi sono la preparazione più atipica del nostro territorio, a testimonianza anche dalla differenza di età rispetto agli altri piatti sopra citati. È nata infatti soltanto nel 1961, dal genio dei ristoratori Lina e Aldo Bianchi, ed è particolarmente elaborata: crespelle ripiene di ricotta, mascarpone, biete e grana, ricoperte poi di panna e ragù ricchissimo a base di manzo, vitello e maiale prima di essere passate in forno. Stupisce come in così poco tempo abbiamo conquistato il cuore di tanti nostri concittadini, che lo considerano ormai uno dei piatti della festa, al pari dei piatti molto più ricchi di storia citati all’inizio.
Davide Reggi