Cucina
Nocino, bargnolino e sburlon: trucchi e consigli su tre liquori storici di Piacenza
NUTRENDO LE RADICI, rubrica a cura di Davide Reggi – Ogni provincia, ogni piccolo paese e casolare. Una storia che è testimoniata a Piacenza da una trilogia: Nocino, Bargnolino e Sburlon, espressione di tre frutti diversi che ancora oggi allietano la fine dei festeggiamenti nelle nostre case.
Ammazzacaffè o digestivi: chiamateli come volete. I liquori a fine pasto sono una tradizione italiana, come il caffè appunto, da dove prendono il nome succedendogli alla fine del rito mangereccio. Nel passato erano considerati al pari di medicinali o ricostituenti, ora ricoprono solamente la sfera del piacere gustativo, nessuno crede ancora davvero che aiutino a digerire. È rimasto solo il gesto, il nome, a testimonianza di una storia antica che si è espressa in tanti modi diversi e simili in ogni regione, ogni provincia, ogni piccolo paese e casolare. Una storia che è testimoniata a Piacenza da una trilogia: Nocino, Bargnolino e Sburlon, espressione di tre frutti diversi che ancora oggi allietano la fine dei festeggiamenti nelle nostre case.
Il Nocino è prodotto dalle noci acerbe e le sue prime testimonianze sono fatte risalire ai Picti, popolo dei Britanni, di cui viene narrato in alcuni documenti dell’età romana. È trascritta una loro usanza particolare, di radunarsi nella notte del solstizio d’estate, il 24 giugno, per bere tutti uno scuro liquore di noce dallo stesso calice comune. La data, rimasta impressa nel tempo si è tramandata, tanto da influenzare anche la ricetta attuale: è il giorno di San Giovanni, consigliato per la raccolta delle noci ed è il numero di frutti da utilizzare per una produzione, che possono però anche essere 33, in onore degli anni di Cristo. Un intreccio, quindi, tra tradizioni pagane e cristiane, testimonianza di come l’incontro di culture non porti mai brutti risultati.
Scelte le noci migliori si passa dunque alla divisione di esse in 4 spicchi e all’inizio della macerazione, che avviene sotto alcol aromatizzato con limone, chiodi di garofano e cannella, alla luce del sole estivo, e dura 40 giorni – riferimento probabile dei giorni di quaresima. Alla fine di questo tempo si filtra l’infuso, che è sempre trattato senza usare materiali metallici i quali secondo la credenza popolare comprometterebbero le proprietà delle piante officinali, e lo si unisce ad uno sciroppo bollito di acqua e zucchero. L’ultima fase è l’imbottigliamento, nella quale le bottiglie sono sigillate con la ceralacca. Il nocino aspetterà un anno in cantina, prima di essere consumato e la prima bottiglia, normalmente, si aprirà il 31 ottobre, alla vigilia della festa di Ognissanti.
Produzione molto simile si ha per il Bargnolino, derivato dalle bacche di prugnolo – prunus spinosa – arbusto spontaneo tipico della zona montana al confine tra la nostra provincia e la Liguria. La raccolta avviene tra Settembre e Ottobre, con i tradizionali teli arrotolati alle braccia per evitare le ferite da spine, e dopo la macerazione, al posto dell’acqua, per fare lo sciroppo, spesso si usa del vino rosso. Dopo 8 mesi in cantina potrà essere bevuto.
Spostandosi infine nelle valli tra Piacenza e Parma, ci si può imbattere nello Sburlon, liquore a base di mele cotogne che prende il nome dalla traduzione dialettale di spintone, quello dato a fine pasto allo stomaco per favorire la digestione. I frutti venivano in passato raccolti dall’albero di famiglia, dato che ogni casa di campagna ne aveva uno proprio, per produrre appunto il liquore e la marmellata. La produzione è più rapida, essendo bevibile già dopo due mesi dall’imbottigliamento, e oltre che da solo può essere bevuto allungato con acqua fredda, come corroborante e defaticante.
Davide Reggi