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Cucina

Esiste una “ricetta originale” dei piatti piacentini?

NUTRENDO LE RADICI, rubrica a cura di Davide Reggi – Questo articolo non parla di ricette, o meglio non ne parla nel modo in cui siamo tutti abituati a pensare di primo impatto. Cerca di definire se esiste una ricetta originale dei prodotti, dei piatti che ho finora descritto in questa rubrica bisettimanale.

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Questo articolo non parla di ricette, o meglio non ne parla nel modo in cui siamo tutti abituati a pensare di primo impatto. Cerca di definire se esiste una ricetta originale dei prodotti, dei piatti che ho finora descritto in questa rubrica bisettimanale. Per originale intendo unica e immutabile, scritta e definita nel tempo, esattamente identica nel procedimento tra differenti ristoranti e differenti famiglie.

Questa domanda me la sono posta grazie ad un lettore che mi ha segnalato un’inesattezza, o perlomeno quella che lui ritiene tale, mandandomi inoltre un testo con la preparazione “originale” in cui si invitava a diffidare da eventuali altre riletture. Il quesito a cui quindi ho provato a dare risposta è se È POSSIBILE PARLARE DI RICETTA ORIGINALE O NO per prodotti nati non da cuochi professionisti ma da una tradizione contadina passata attraverso le generazioni, spesso anche solamente in modo orale. Ebbene la risposta che darei io è negativa, ma per spiegarmi meglio ho pensato a due argomentazioni che reputo convincenti, una più legislativa e l’altra più “logico-pratica”.

Dal punto di vista legislativo esistono vari tipi di denominazioni a protezione del prodotto, in ordine d’importanza DOP, IGP, PAT e De. Co. Le prime due, riconosciute e diffuse dall’Unione Europea, hanno un disciplinare rigido e ben definito. È trascritto ogni singolo passaggio e procedimento per arrivare al prodotto finito, le dosi degli ingredienti, insomma per essi è presente una ricetta definibile “originale”. Per questo è presente anche un consorzio che controlla che i produttori si attengano alle disposizioni del disciplinare, il nome è quindi registrato e nessun altro alimento in Europa può chiamarsi allo stesso modo o simile. In queste due categorie ricadono spesso salumi o formaggi, oppure direttamente materie prime vegetali tipiche di determinate zone.

Le PAT e le De. Co. sono invece denominazioni rispettivamente regionali e comunali, per cui sono indicate le caratteristiche del prodotto ma non una ricetta vera e propria da seguire alla lettera per dare il nome specifico. Sono perlopiù quindi volte a promuovere le preparazioni del territorio, piuttosto che a proteggerle da eventuali falsificazioni o imitazioni. Infatti non è presente un organo di controllo e dunque non esiste una vera e propria “pietanza” che è tutelabile dalla legge. Rientrano in questa categoria cibi più temporanei, preparati al momento e subito consumati come sughi, paste, piatti elaborati oppure prodotti così di nicchia da non avere produttori con la forza e l’unione sufficiente a costituire un consorzio.

Su questi cibi “temporanei” è calzante poi l’argomentazione logico – pratica, basata sulla realtà gastronomica, passata e attuale, della nostra provincia. In essa, tolti i prodotti tutelati da DOP e IGP sopracitati, i piatti hanno sempre seguito una linea generale comune senza però avere mai ricette uniche o ben definite. Basti pensare agli anolini, che sono sempre gli stessi ma sono prodotti in modo diverso per ripieno a seconda della valle, ai pisarei, più o meno sugosi, con o senza la cotica, o ancora i maccheroni alla bobbiese, conosciuti sia insieme al sugo di stracotto, che al ragù o piuttosto ai funghi.

Tutti esempi dell’espressione variabile dell’uomo nell’atto del cucinare. Pochi, rispetto ad un elenco che potrebbe essere molto lungo, un piccolo assaggio che può aiutarci a promuovere le nostre tradizioni e i nostri piatti scordandoci l’integralismo basato sul nulla (questo alla fine ho voluto dimostrare in questo articolo).

Dando spazio quindi ad un approccio più positivo, anche più aperto alle variazioni o a nuove rivisitazioni, nuova linfa di freschezza per una gastronomia che non si snatura, non perde le sue radici, semplicemente si può adattare ai tempi. 

Davide Reggi
SportelloQuotidiano.com

Classe 1995, da amante folle di cibo e vino si laurea in Scienze Gastronomiche a Parma, dove inizia a coniugare la passione con la scrittura. Ama il silenzio ma anche chi sa parlare, tanto da avere l'ipod pieno di monologhi; venera Marco Paolini, Roberto Bolano e chiunque si esprima con un po' di intelligente leggerezza.