Cucina
Alla scoperta della cucina israeliana in missione con la Diocesi (di Davide Reggi)
NUTRENDO LE RADICI, rubrica a cura di Davide Reggi – La cucina israeliana è l’unica al mondo che si contraddistingue non tanto per gli ingredienti utilizzati quanto per la preparazione dei piatti rituale e rigorosa.
“Nutrendo le radici” oggi vi porta al di fuori dei confini piacentini, nelle lontane terre israeliane, dove un gruppo di ragazzi della Diocesi di Piacenza e Bobbio ha vissuto un pellegrinaggio ad agosto. Si è già parlato dei luoghi, delle commistioni e conflitti tra religioni e popoli diversi, cosa può invece dirci la cucina di questo paese? Tantissimo, anche perché definire la gastronomia di questo luogo unica nel suo genere è decisamente pleonastico. Non tanto per i piatti, quelli si trovano simili in zone vicine e lontane, ma per la strutturazione delle regole alimentari, per i rituali.
La differenza tra cucina israeliana ed ebraica
Innanzitutto è giusto definire la differenza tra cucina israeliana ed ebraica, due sguardi reciproci della stessa tavola. La prima fa riferimento all’unione delle culture gastronomiche dei luoghi da cui sono arrivati gli ebrei alla nascita dello stato di Israele, nel 1948, alle quali si è aggiunta anche la cucina palestinese e mediorientale già presente da secoli nel territorio. La seconda si riferisce invece alla Torah e al Talmud, ed è più un regolamento che una cucina vera e propria: sta ad indicare ciò che il buon ebreo può o non può mangiare. È il tratto sicuramente più distintivo della gastronomia di questa giovane nazione, che è quindi forse l’unica al mondo che si distingue in cucina non tanto per i cibi utilizzati o le preparazioni ma per il modo rituale e rigoroso in cui essi sono trattati.
Guai a non mangiare gli “animali puri”
Solo alcuni tipi di animali possono essere mangiati, quelli considerati puri, e il criterio di purezza varia a seconda del caso specifico sulla base di una mescolanza tra credenze antiche e conoscenze medico-scientifiche primarie, che i libri sacri mantengono vive ancora oggi. Ad esempio non possono essere mangiate le interiora e il sangue, che in antichità erano stati già stati individuati come i principali portatori di malattie negli animali, sono poi vietati i quadrupedi con lo zoccolo fesso( diviso in due) o che ruminano ma se le due caratteristiche sono presenti insieme l’animale diventa commestibile. Tra gli uccelli i proibiti sono i rapaci, impuri per la crudeltà dei loro metodi di caccia, e i saprofagi, cioè quelli che si nutrono di carcasse, anch’essi probabilmente perché più propensi al passaggio di malattie verso l’uomo. Storie interessanti le hanno poi i vegetali e il maiale, i primi per i controlli che devono essere fatti prima di autorizzare il consumo, il secondo perché fa capire come la natura di un animale abbia potuto influenzare le idee e la cultura degli uomini nei secoli.
Le verdure hanno un grosso problema, la contaminazione da insetti, che secondo la legge ebraica non sono puri, questo fa intuire di come il biologico e la cucina ebraica facciano molta fatica ad andare d’accordo ed essere compatibili. Il maiale invece non è considerato commestibile, ma deve la sua impurità essenzialmente alla sua mancanza di ghiandole sudoripare. Esso non è in grado di raffreddare il suo corpo sudando, come facciamo noi in risposta al calore, e deve dunque inumidirsi il corpo: per questo si rotola volentieri nelle pozze d’acqua. In zone desertiche le pozze d’acqua sono però particolarmente scarse, e quindi ogni fonte umida diventa di vitale importanza per i suini, ed ecco che vederli rotolarsi nel fango è diventata una consuetudine. Il fango è però sporcizia e da qui il passaggio che l’animale fosse sporco e quindi impuro è stato praticamente istintivo; curioso è notare come questa concezione abbia influenzato anche l’occidente, che ha spesso identificato il maiale come simbolo di promiscuità o addirittura diabolico.
Non consumare carne e latte contemporaneamente
Oltre alla purezza dei cibi, dai testi sacri arrivano poi anche regole sull’ordine del consumo, come per esempio l’impossibilità di consumare carne e latte contemporaneamente. Gli ebrei osservanti devono dunque aspettare cinque ore dopo aver mangiato carne, prima di potersi cibare di latte o formaggio, nel senso opposto il tempo è decisamente minore (45 minuti) e questo è dovuto ai differenti tempi di digestione degli alimenti.
Le regole e rituali riguardano infine anche gli utensili e i gesti di preparazione: per questo è ormai diventato consuetudine per i ristoranti chiamare un rabbino per fare in modo che esso certifichi il locale come kosher. Gli ebrei che vogliono quindi pranzare in un locale possono sapere subito se esso è adatto alle loro esigenze, cercando il certificato rabbinico che normalmente è appeso al muro, ma agli ortodossi questo non è sufficiente: essi richiedono addirittura la presenza fissa del rabbino all’interno del locale.
Davide Reggi