cultura
DIMMI COME SCRIVI… e ti aiuterò a capire cosa volevi dire! (di Michela Vignola)
CARAMELLE AGLI SCONOSCIUTI, rubrica a cura di Michela Vignola – Da come le persone scrivono si capisce molto della loro personalità. “Come” scrivono, prima ancora di “quello” che scrivono.
Da come le persone scrivono si capisce molto della loro personalità. “Come” scrivono, prima ancora di “quello” che scrivono.
Fateci caso. Ci sono i “prolissi”, a centinaia, che iniziano a buttare giù parole contestualmente al fluire dei pensieri e nella loro prosa ci sono ripetizioni.. involuzioni… deflagrazioni… un arrancare faticoso verso il concetto. Meta fugace e quasi sempre disattesa.
Poi ci sono i “precisi”. Quelli che fanno premesse alla premessa della premessa per essere certi che sia ben chiaro ciò che andranno a dire. Che poi in genere lo avevi già capito alla prima premessa e ti devi sorbire tutto il resto. Fino alla conclusione, che in genere comincia con “Concludendo…”. Qui a Piacenza ce ne sono parecchi, ma probabilmente è una categoria molto diffusa.
Ci sono quelli che scelgono con cura le singole parole – i tipi, insomma, da dizionario dei sinonimi: lo senti, nel loro periodare, lo sforzo di cogliere esattamente nel segno, quasi a cercare il fungo porcino tra i funghetti umili del sottobosco. E urlare “è lui, è lui” e poi piazzarlo a caso in una frase. Magari tanto decontestualizzato da renderlo inservibile. Perché poi il termine perfetto, da solo, non fa primavera, come si dice.
Ci sono quelli di fretta, chiamiamoli banalmente i “bianconigli” del Word delle Meraviglie: quelli che sembra che stiano scappando da qualcosa e non sanno neanche loro da cosa, che affrettano le parole come massi in discesa facendo salire l’ansia (e l’attesa), ma alla fine interrompono la comunicazione in modo brusco e perentorio, come al suono di un allarme antincendio. Oddio… Dov’è finito? Era qui un attimo fa!! Cosa stavi dicendo??
Ci sono quelli che abusano della punteggiatura, come un preservativo che li difenda da tutti i mali del mondo. Aspetta… qui metto una bella virgola, anzi due…. Come a dire “faccio piano”. Insopportabili. Io, del resto, lo confesso, ne ho fatto parte, una volta, di questa categoria, fino a quando il mio Senior Copy (pace all’anima sua, anche se non è ancora, per fortuna, passato a miglior vita) non me l’ha fatto notare con il suo tipico sarcasmo di Piacentino travestito da Milanese (Camillo, ancora grazie di tutto!). Da allora le virgole sono il demonio, il punto e virgola Belzebù che se la tira, i due punti dozzinali come i mocassini senza calze. Niente a che vedere con l’oltraggio alla corte che solo i puntini di sospensione possono generare. Mai! Non usarli… Mai!! Concesso, in una prosa efficace, incisiva e di qualità, solo qualche punto fermo. Bello. Tondo. Essenziale. Maschio.
Banditi gli avverbi, ça va sans dire. Ipocrita retaggio della retorica fascista, che non aggiunge niente, se non sillabe e inchiostro, al senso della frase. Assolutamente perfettamente condivisibile evitare l’abuso dei suddetti esemplari di parassiti del verbo.
I problemi cambiano, le soluzioni restano le stesse. Cioè, ci sarebbero, ma non funzionano. Sempre più frequente, oggi, è infatti il dilagare di chi invece della punteggiatura non fa nessun uso, nemmeno quelli consentiti dalla legge, quasi fosse il peggiore dei tabù da infrangere e il più nero peccato da confessare: una virgola? Io?! Giammai!! Chiedi a chi vuoi… Questi, i “signori sine interpunzione”, si affidano ciecamente alla capacità del lettore, seppur casuale e distratto, di cogliere i nessi logici al posto loro. Novelli oracoli. Apolli 4.0. Ipse dixit del web… e se capisci bene, se no fake news anche a te! Che sorta di nessi è tutto da vedere, ma se siamo fortunati non lo scopriremo mai.
Tralascio chi fa errori di ortografia grammatica sintassi et cetera et cetera (lo scrivo alla latina, che fa più figo!), chi scrive “dà” voce del verbo dare senza accento, ma mette l’accento su “và”, “sù” e altre oscenità simili che la tastiera del mio computer si rifiuta di scrivere. Mi domando quindi: avranno dei device speciali, progettati appositamente per loro? Nel caso, sono disponibile a fare il payoff, anche gratis, solo per la gloria: XXX – Il PC per chi non vuole cedere mai (neanche al correttore automatico).
Tralascio la questione congiuntivi – per il bene mio e delle mie coronarie, già provate da strafalcioni scolastici vari -perché il mio interesse in questo momento è proprio cercare di catalogare il molteplice universo degli scriventi: e in tempi di Social il campionario è vasto e fin troppo accessibile (ovvero, non si può sfuggire all’ammasso di parole inutili che ci soffoca ogni giorno). Così ci provo, a immaginarmi la loro faccia, la loro espressione, la loro foga o la loro esitazione davanti alla tastiera.
Migliaia sono i “criptici”, che non si capisce mai del tutto quello che intendono comunicare. La mia maestra delle elementari in questi casi sentenziava sorniona (si vede che era una maestra degli anni 70) “Il resto del pensiero è forse rimasto nella penna??” Non so se erano appunto gli anni 70 e la loro hippitudine diffusa o se era donna ottimista per natura, ma la domanda rimane, aleggia. Dov’è finito il resto del pensiero? E soprattutto, c’era, questo “resto”?
Però ci sono anche quelli che con due frasi ti trascinano nel gorgo ammaliante della loro mente, e lì è davvero dolce naufragare. Quelli sintetici, ma chiari. Armoniosi, ma puntuali. Che sanno cambiare il ritmo seguendo l’onda dei pensieri. Che ti stupiscono con un’immagine o una metafora a cui non avevi pensato. Che fanno domande e non svendono risposte. Che non cominciano tutte le frasi con “Io”. Che sanno come “aprire” e quando “chiudere”. Che li ami… così, d’istinto, perché usano a proposito un termine che non conoscevi. I Magris… Gli Augias… I Baricco che non si sono ancora montati la testa… I giallisti siciliani pubblicati da Sellerio… Solo per citare qualcuno tra tanti che vivono e lottano ancora insieme a noi. Dove siete? Scrivete! Moltiplicatevi!
Quando ero bambina e mia mamma mi portava a comprare le scarpe, la regola era: “un paio ne compri, un paio ne butti” (tranquilli, mi sono rifatta dopo!). Oggi dico: una frase leggi, una frase scrivi. Non esistono deroghe. Le parole sono sacre, il tempo di chi legge anche solo distrattamente ciò che pubblichiamo è sacro. Siamo umili, siamo la A del dizionario, almeno per cominciare, perché a fare le Y, le J e W ci vuole studio, predisposizione, dedizione.
“Solo quando mi verrà naturale d’usare il verbo scrivere all’impersonale potrò sperare che attraverso di me s’esprima qualcosa di meno limitato che l’individualità d’un singolo.”
(Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore)