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Glifosate, amico o nemico? L'opinione del prof. Filippo Rossi: «Vietarlo comporterebbe danni ambientali»
La regione Emilia-Romagna, non prima della fine del 2017, inizierà il monitoraggio del glifosate nelle acque superficiali e in due invasi di potabile. Esulta il Movimento 5 Stelle, che da tempo chiede di conoscere ciò che la Regione sta facendo per il controllo del pesticida, ritenendo «necessario eliminarlo dai disciplinari di produzione integrata e dalle varie deroghe stagionali così come hanno già fatto altre Regioni». Non tutti, però, sono d’accordo.
Ma cos’è anzitutto il glifosate? Lo spiega Filippo Rossi, docente presso la facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza, che non condanna la sostanza: «Si tratta di una molecola sviluppata per curare il cancro, che ha invece rivelato un potere erbicida molto più elevato. Da 45 anni è uno dei prodotti più utilizzati dagli agricoltori: la Monsanto, iniziale titolare del brevetto, lo commercializza con il nome di Roundup e, se questo marchio rimane un’esclusiva della ditta americana, il brevetto è scaduto nel 1991 ed è utilizzabile liberamente da chiunque. Fino al 2015 nessuno aveva mai sollevato problemi sull’uso di questa molecola, ma il 20 marzo 2015, lo IARC (ente internazionale per la ricerca sul cancro, patrocinato dall’OMS) annunciava di aver classificato il glifosate come “probabile cancerogeno per l’Uomo”. Non una certezza quindi, ma questo è bastato per scatenare una violenta campagna mediatica per vietarne l’uso».
Ma è davvero cancerogeno il glifosate? «Dire che una molecola è “probabilmente cancerogena” – sottolinea Rossi – non significa molto, dipende da quanto bisogna assumerne per far insorgere la malattia e da qual è l’esposizione al tossico. Lo IARC si è dimenticato di quantificarlo per il glifosate, anche perché ha analizzato solo 14 studi di laboratorio, di questi 8 mostravamo cancerogenicità e 6 no. Non ha neanche considerato circa 3 mila ricerche che escludevano rischi per la salute umana. L’indagine dello IARC è stata criticata da EFSA, FAO e OMS, che non giudicano i livelli di glifosate cui noi siamo esposti sufficientemente alti da costituire un pericolo. In pratica lo IARC dice che se bevo tutti i giorni un bicchiere di glifosate è probabile, ma non certo, che mi venga il cancro, invece EFSA e compagnia bella dicono che i residui di glifosate che rimangono sulle colture sono talmente bassi da non costituire un problema. Non dimentichiamo che il glifosate si usa prima che la coltura sia germogliata, altrimenti ucciderebbe pure quella».
Ci si domanda, dunque, se valga la pena vietarlo. Secondo Rossi, «ognuno può deciderlo da solo, innanzitutto considerando che nella categoria dei sicuri cancerogeni, oltre all’alcol, troviamo il tabacco e alcune colle usate nella fabbricazione delle scarpe. Inoltre, nella stessa categoria di pericolo del glifosate, vi è anche un insetticida domestico, mentre tra i possibili cancerogeni abbiamo un anti-pulci per cani e gatti. Giornalisti e politici, tuttavia, non si sono mai occupati e preoccupati di queste molecole». «Il fatto che un alimento contenga sostanze potenzialmente tossiche non deve farci scartare quel cibo – prosegue -, infatti il latte materno contiene piccole dosi di arsenico, che a questi bassi livelli agisce come disinfettante intestinale invece che come veleno. Va ricordato che per ogni molecola, compresi minerali e vitamine, non vi è una pericolosità di per sé ma in funzione di quanto se ne assume».
Il dottor Filippo Rossi sostiene che il divieto comporterebbe danni «in termini ambientali, poiché il glifosate è molto utile per quegli agricoltori che attuano la semina “su sodo”, ossia senza aratura. Anche per chi preferisce l’aratura, è utile in quanto riduce il numero dei trattamenti diserbanti. Quindi meno lavoro, meno consumo di carburante e meno diserbanti sparsi sui campi. Dal suo bando, sicuramente, ci guadagna chi vende carburante e macchine agricole, aumentando il numero di lavorazioni e di trattamenti in campo, e le industrie chimiche che producono diserbanti meno efficaci del glifosate».
Thomas Trenchi